Prima di spiegare da dove abbia tratto ispirazione per il mio racconto, desidererei anzitutto condividere brevemente l’esperienza che mi ha portato a maturare una profonda passione per il Giappone, e in particolare per lo Shintoismo, cosa che inevitabilmente ha influenzato la mia Weltanschauung, ovvero, la mia personale visione del mondo e della vita. Paradossalmente, potrei affermare di non essere stato io ad aver scoperto in me questo amore per l’Oriente, ma che questi si sia manifestato spontaneamente dinanzi a me. Il tutto avvenne quando, casualmente, sul web, m’imbattei in una stampa giapponese, raffigurante degli spiriti della mitologia nipponica e alcuni samurai. Già praticante d’arti marziali, mi sentii enormemente attratto da quel mondo incredibile, che mi pareva così distante dalla vita ordinaria. Iniziai così ad approfondire la cultura giapponese, inizialmente su internet reperendo da più siti possibili le informazioni, poi sui libri. Uno dei primi, era un’enciclopedia di Shigeru Mizuki, mangaka giapponese, una sorta di stravagante bestiario del XXI secolo, dove, con immagini in stile fumettistico, erano raccontati leggende popolari e misteri di mostri e di spiriti d’ogni genere, da gatti giganti a tazzine e lanterne parlanti, da monaci fantasma ad alberi spiritati. Aprendo il libro in questione, vi si può leggere una premessa dell’autore, dove questi avvisa i lettori che, dopo essersi immersi in quell’enigmatico mondo del folklore Shinto, non si osserverà più con i medesimi occhi la realtà circostante e, come afferma Shigeru Mizuki stesso, girando in un bosco, sarà loro “impossibile negare che quella roccia stia respirando o che dentro quell’albero sia imprigionata un’anima” e, in effetti, così fu per me. Realizzai, infatti, quante molteplici prospettive, o meglio vedute della realtà potevano esistere, quanto fosse riduttivo arenarsi placidamente s’una di queste definitivamente. Lo Shintoismo ha una visione panteista, se non persino panica, dell’universo, dal quale trasuda l’essenza divina, presente in ogni persona, animale od oggetto, che spinge i giapponesi a una venerazione a tutto tondo della natura; infatti, non è difficile trovare un racconto folkloristico dove non appaia un sandalo che ha preso vita, una volpe dalle nove code che parla e che incanta gli uomini o ancora una campana di un tempio abbandonato che suona da sola. Iniziai, quindi, con una del tutto nuova meraviglia a guardare il paesaggio limitrofo, forse facilitato dal vivere a ridosso di un bosco, cosa che per altro ha stimolato la mia passione per la poesia Haiku. Alle soglie del 2020, sono contattato da due cari amici, con i quali condivido questa passione, che mi avvisano, conoscendo il mio amore per la scrittura, di un Contest letterario riguardante il Giappone. Non avendo mai inviato i miei scritti a nessuno, in un primo momento esito a farlo. Passato qualche giorno, decido di assistere a una conferenza riguardo al Pensiero del periodo Edo; nel corso dell’esposizione è trattato il folklore nipponico e, immediatamente, come col sapore della Madelaine de Proust, si riaccende in me quella lunga passione. Di ritorno verso casa, al calare del Sole, decido di percorrere una strada secondaria, che dà su un sentiero nel bosco, per fare una piccola passeggiata. Ad un tratto intravedo un pettirosso intento a intingere il becco in una pozzanghera; proprio da quell’accostamento d’elementi, dal rossore del tramonto ornato dalle fronde, a quell’uccellino, così leggiadro, legato indissolubilmente all’aria, ma rivolto verso l’acqua e la terra, mi sovviene immediatamente una leggenda riguardo agli Suzume, termine giapponese per indicare i passeri, e a un loro mitico peregrinare verso l’oceano. La mia mente inizia così a viaggiare, immaginando una qualche possibile storia legata a ciò, traendo ispirazione dai racconti di Shigeru, e, giunto a casa, stendo rapidamente il tutto.