CURIOSITÀ
Cinquantatré vedute del Giappone
di
Autori Vari
– 2° parte –


Buongiorno lettori,
ecco la seconda parte di questo post speciale che coinvolge diversi autori!

Qualche settimana fa vi avevo segnalato l’uscita della raccolta di racconti Cinquantatré vedute del Giappone, edita Idrovolante Edizioni, a cura di Linda Lercari e Furio Detti, dove potete trovare anche il mio racconto dal titolo: “Il fiore del destino“.

Con la collaborazione di Linda Lercari, che è stata così gentile da fare da tramite, oggi alcuni degli autori della raccolta ci raccontano alcune curiosità in merito al loro racconto, come hanno trovato l’ispirazione o un aneddoto saliente riguardante la sua stesura.


Poiché in molti degli autori hanno risposto all’iniziativa e per non creare un post eccessivamente lungo, ho deciso di dividerlo in tre parti (la prima parte è stata pubblicata lunedì 22 giugno – qui il link se ve la siete persa – e, salvo imprevisti, la terza parte sarà pubblicata lunedì 6 luglio).

Partiamo a conoscere altre curiosità di altri autori della raccolta…



ANNARITA STELLA PETRINO (Hiro)

 

Quando sono stata invitata a partecipare al concorso “Racconta il Giappone” indetto dalla Idrovolante Edizioni, mi sono chiesta se sarei stata in grado di raccontare il Giappone, non essendo io un’esperta. Sono una scrittrice di fantascienza, innamorata di questo genere, quindi ho pensato sin da subito che avrei scritto qualcosa in chiave fantascientifica. Per scrivere il racconto ho tratto ispirazione dal film “L’ultimo Samurai”, sul quale ho fatto delle ricerche più approfondite comparandole con la storia relativa al periodo storico di riferimento. Quindi ho giocato sulla dualità realtà storica/ realtà cinematografica che nel racconto è stata trasposta nella dualità realtà/olografia.



MARIA CONCETTA DISTEFANO (Tokyo)

 

Ohayou gozaimasu! Vorrei usare “チャオ chao”, il nostro italianissimo “ciao”, ma pare che i giapponesi lo abbiano importato come modo di salutare un po’ fighetto per far colpo sulle ragazze e lo utilizzino in anime, drama ecc. e, per strada, solo per scherzo…
Il mio racconto s’intitola “Tokyo” e l’ispirazione l’ho trovata in situ! Durante un bellissimo soggiorno di quindici giorni, nel luglio 2015, in quella città.
Mio marito, per un lavoro collegato alla Japan Airlines, era già andato due volte in Giappone in due anni diversi. Ogni volta ne era tornato entusiasta. Mi parlava della cortesia dei colleghi giapponesi, della loro ospitalità elegante e misurata, ma anche dell’orgoglio con il quale gli avevano mostrato luoghi e templi sacri e avveniristiche architetture non solo a Tokyo, dove si svolgevano le riunioni di lavoro, ma anche a Kyoto e a Osaka nei weekend.
Sull’onda del suo entusiasmo cominciammo a frequentare i ristoranti giapponesi a Torino e gustare dell’ottimo sushi in alcuni di essi.
Da parte mia cominciai a interessarmi di arte giapponese. Fortunatamente a Torino, dal 2008 esiste, in via San Domenico, 11, uno splendido Museo d’Arte Orientale, il MAO, appunto, che, oltre a mostre temporanee, accoglie sezioni permanenti dedicate all’arte orientale nei suoi quattro piani di gallerie.
L’atrio d’ingresso è stato realizzato come un ampio spazio vetrato che conserva il ciottolato ottocentesco di Palazzo Mazzonis (sede del museo) e ospita giardini zen giapponesi, con sabbia e muschio. Il primo piano ospita la prima parte della Galleria Giapponese, dove si possono ammirare grandi paraventi dipinti e una serie di sculture lignee laccate e dorate. Al secondo piano la galleria prosegue con l’esposizione di armi e armature, dipinti, stoffe e preziose stampe.
Prima di volare a Tokyo, passai quindi molti pomeriggi a cercare di “assorbire” un po’ di questa affascinante cultura attraverso visite “meditative” al MAO dove la collezione giapponese svela l’unicità del connubio tra tradizione, artigianalità e sapiente conoscenza dei materiali. Lì ammirai statue lignee dal XII al XVII secolo, paraventi dal XVII al XIX secolo, tessuti, dipinti e xilografie, nonché oggetti laccati, armi e armature. E, in un’occasione, ebbi la fortuna di vedere una delle poche copie rimaste in buono stato della celeberrima xilografia della Grande Onda di Kanagawa, di Hokusai, che è esposta periodicamente.
Come dicevo, nel luglio 2015 decidemmo di volare a Tokyo, come prima tappa di altri viaggi a venire nell’impero del Sol Levante, e ne rimasi affascinata.
Tokyo era proprio come l’avevo immaginata e forse persino più intrigante. New York e Oriente in un solo posto, passando per la bohème parigina. Rutilante di luci ma, al contempo, sobria e misurata.
Ai piedi della Tokyo Tower ricordo un incontro molto simpatico e, forse, esemplificativo di certo “riservato” carattere giapponese così diverso dal “nostro” italiano, sicuramente più “estroverso”.
Io e mio marito fummo avvicinati da due studenti, in divisa scolastica, e uno di loro, molto timidamente, ci chiese se poteva farci una piccola intervista in inglese per la scuola.
Certo, rispondemmo. E allora il ragazzo, con una cartellina in mano e una penna pronta a essere usata per prendere appunti, ci chiese cosa pensassimo di Tokyo come turisti, cosa avevamo visitato, come eravamo venuti a conoscenza della Tokyo Tower e così via.
Un questionario di “marketing” per raccogliere dati in vista di una promozione turistica sempre più ampia della città.
Tutto regolare. La cosa che ci colpì, invece, fu che quando chiesi perché l’altro ragazzo non ci facesse domande, la risposta, accompagnata da un rossore del viso, fu che “lui è molto timido e, soprattutto, ha paura di fare una brutta figura sbagliando a parlare inglese.” 
Che dire, rimasi “commossa” da quella risposta e… torneremo senz’altro in Giappone per visitare altri luoghi, appena sarà possibile…



CLARA TERRAGNOLO (Non cogliere questo fiore…)

 

Sono Terragnolo Clara, ho scritto il racconto “Non cogliere questo fiore…” tratto da una storia vera, profondamente vissuta in un contesto pieno di contrasti ma anche di fascino dove modernità e tradizione sopravvivono ancora nel ventunesimo secolo.

 

CLAUDIA MALTESE (Ojigi – diario di una settimana in giappone)

 

Il mio racconto è in realtà un diario che prende vita nel Novembre 2018, durante la prima esperienza oltreoceano di una coppia di donne in Giappone, esattamente nella prefettura di Tokyo. E’ un viaggio breve, di una sola settimana, ultimo disperato tentativo di ritrovare l’Amore assopito tra le due viaggiatrici, le quali vivono un periodo di allontanamento fisico ed emotivo. La narrazione avviene attraverso gli occhi di una delle due protagoniste, un racconto che dipinge un primo breve impatto con la cultura nipponica, descrivendone le tradizioni, le usanze, i colori, senza mai elevarsi a guida o cicerone ma in maniera molto ingenua, naturale. I giorni si avvicendano tra riflessioni, cibo, paesaggi incantevoli  e molte domande. Sono degli appunti di viaggio scritti con occhi increduli ma anche un po’ malinconici, riusciranno il Giappone e i quartieri di Tokyo a far ritrovare l’Amore perduto? A fine di ogni paragrafo del racconto ricorreranno degli hashtag che potranno servire, solo a chi volesse, a scoprire qualche scatto di quella intensa settimana sui social, perché si, questo racconto è stato scritto durante la mia prima vacanza in Giappone, ricordo lucidamente della lucina che tenevo nascosta sulla mia branda, per non dare troppo fastidio alle altre persone con cui dividevo la camerata mentre cercavo ogni sera prima di dormire, di appuntare i posti visitati e le immagini che avevano evocato. Pochi appunti giornalieri scritti a mano su un quaderno con delle foglie di palma disegnate sulla copertina morbida. Un quaderno che è rimasto nascosto per un anno prima di trasformarsi in racconto breve, prima di portare alla luce l’amore per il Giappone, che inevitabilmente ti porta ad amare un po’ di più anche se stessi.



NADIA FINOTTO e ALESSANDRO AMADESI (Wasabi o l’arte di infuocare)

 

Questo è un racconto che è nato “in partecipazione”. Io non conosco molto il Giappone, ma mi affascina, mentre Alessandro lo conosce invece molto bene e quando gli ho parlato del concorso ne è rimasto subito entusiasta.
Io volevo scrivere qualcosa di trucido e abbiamo messo sul piatto alcune idee che però non ci entusiasmavano. Poi una sera, chattando con una mia carissima amica profonda conoscitrice del Giappone, lei mi disse: “sai cos’è il wasabi? È una salsa giapponese tremila vote più forte del kren”. Mai parole furono per me più rivelatrici: in quel momento seppi che il wasabi sarebbe stato lo spunto giusto.
Ne ho immediatamente parlato ad Alessandro e da lì sono partite le ipotesi per la trama, dopo di che è stata stilata la “scaletta alla Ale” che è un riassunto per punti a cui lo svolgimento del racconto deve attenersi et voilà, eccoci pronti per la partenza.
I nomi dei personaggi sono tutti di Ale, perché io non sono molto ferrata in nomi giapponesi, mentre il racconto ce lo siamo palleggiato ognuno scrivendo una parte, che veniva prontamente continuata dall’altro.
L’incipit è mio e, dopo vari rimbalzi più o meno trucidi, si arriva al finale che invece è di Ale.
In men che non si dica il racconto si è materializzato sul foglio ed ecco pronto “Wasabi o l’arte di infuocare”, che ci siamo divertiti un sacco a scrivere.

Sì, Nadia ha ragione, ci è piaciuto molto scrivere questo racconto. Penso che sia partito da tre idee diverse, se ricordo bene: un pilota di caccia zero, un samurai di oggi e un folle; ed effettivamente, ripensandoci, il wasabi ha dato origine ad un personaggio che a proprio modo è un samurai, molto stranito, forse fin troppo, un folle e a proprio modo un pilota. A me il Giappone piace e qualcosina la so, ma non tanto come dice Na. Mi affascinano alcune cose, tra le quali i giardini zen.
Il concetto incomprensibile, per gli italiani, del seguire i piani e l’organizzazione in modo rigoroso (in questo caso specifico maniacale), ha dato origine a un samurai con un grande senso dell’onore e del servire la causa. Ovviamente fare dell’ironia è tipico nostro, così abbiamo portato il concetto un po’ oltre, ma mai prendendoci troppo sul serio. Garantisco, però, che il finale non lo volevo scrivere, giuro, non so dove ho sbagliato… troppo tardi.

Seriamente, credo che al di là delle esagerazioni e delle note criminali, scrivere cose folli piaccia molto a Nadia e a me, quindi un tributo alla follia è anche questo racconto. Serio, ma non troppo, secondo me.



DEBORA PELIZZARI (Giappone viaggio e…)

 

Devo ringraziare un’altra autrice Ilaria Vecchietti, anche lei con un racconto nel libro, ha proposto il concorso e come non farlo?
Appena ho letto Giappone, non potevo rimanere indifferente!
Da sempre affascinata, seguendo manga/anime e qualcosa della vita giapponese (cibo/tradizioni), ho provato a scrivere il racconto, anche se non sono una scrittrice.
Quello che posso dire mi è venuta in mente la protagonista e questa scalinata lunga… il resto lo dovete leggere per capire dove appare questa parte.



ELENA MAULINI (Nihon)

 

Sono innamorata della Terra del Sol Levante, della sua lingua e cultura da che ho memoria e “Nihon”, per me, è un vero e proprio modo d’essere, di vivere, qualcosa che va al di là dei confini geografici. L’ispirazione per questo racconto è scaturita in maniera del tutto spontanea al ritorno dal mio primo viaggio in Giappone, dal desiderio e dalla necessità di voler condividere le emozioni e i pensieri che quell’esperienza mi aveva regalato. Perché Nihon, il Giappone, è un paese che richiede cuore aperto ed anima in ascolto, un viaggio che implora di prendersi il tempo per respirare.
Quando cominci a muovere i primi passi non puoi non accorgerti che, nell’infinità di piccole vie che intersecano la strada principale, puoi trovare chiassose sale gioco e antichi palazzi dall’aspetto quasi incantato affiancati fra loro in un modo quasi surreale. Ti ritrovi a camminare nel centro di Tokyo, tra luci e negozi, e ad intravedere un piccolo tempio in fondo alla via, o un ryokan (albergo tipico giapponese) con le sue pareti in carta di riso e file di ciabatte perfettamente allineate all’ingresso. Se alzi lo sguardo, gli occhi vengono rapiti dal complesso intreccio dei fili che si snodano dai pali in legno e che collegano ogni edificio di Kyoto; diventano presto familiari i luminosi e colorati distributori di bibite disseminati lungo la strada. Persino il suono insistente delle cicale estive comincerà a somigliare ad una canzone.
Familiare: è così che il Giappone diventa in poco tempo. Ti senti a casa, senza capirne il motivo.
Natsukashii è una parola giapponese che rappresenta una sensazione di nostalgia, o mancanza, che si sente per qualcosa che in realtà non si è mai visto o vissuto direttamente. Può essere un luogo, una situazione, una persona. Per me è sempre stato Nihon. È difficile spiegare come ci si possa sentire a casa in un luogo distante migliaia di chilometri e nel quale non si è mai stati prima, eppure è così.
Spero di essere riuscita, in queste poche pagine, a trasmettere almeno una piccola parte di quello che il Giappone è sempre stato per me, e a invogliarvi a lasciarvi trasportare in questa Terra, metaforicamente o di persona. Nihon vi porterà dove avevate bisogno di essere, anche se ancora non lo sapevate.
 

 

SILVIA MARIA CRIPPA (La prima veduta del Monte Fuji)

 

Ho passato gli ultimi quattro anni in Corea del Sud e, grazie alla vicinanza al Giappone, ho potuto fare numerosi viaggi in quest’ultimo paese. La mia regola era di andarci almeno una volta all’anno, scusa che ho sfruttato al meglio per scoprire le bellezze e la cultura del Giappone. Ad agosto dell’anno scorso sono stata per la prima volta sul Monte Fuji, obiettivo che mi ero prefissa da tempo dopo numerosi tentativi fallimentari di vedere la montagna sacra da lontano. Prendendo spunto da questa esperienza ho scritto “La prima veduta del Monte Fuji”, parlo delle mie emozioni, descrivo il paesaggio, il percorso che ho intrapreso e persino gli incontri che sono avvenuti. Non sono salita fino alla sommità, ho deciso di circoscrivere per alcuni chilometri il monte ma ho comunque in programma di scalarlo la prossima volta che andrò in Giappone. Ho diviso il racconto in tre parti che rappresentano tre momenti precisi di questa avventura, inoltre, l’unica protagonista sono io ma in realtà ho fatto questo viaggio con mia sorella minore, Sara, e la devo ringraziare perché ha accolto con entusiasmo la proposta di andare sul Monte Fuji e non mi ha lasciato sola in un momento così “importante”.

 

 
ANDREA GRECO (Piccole cose)

 

Il concorso mi è stato suggerito dalla mia compagna Sabrina, anche lei selezionata, ma devo ammettere che ho avuto qualche problema a trovare un tema nell’immediato, anche perché non apprezzo le cose troppo semplici che rischiano di scadere nel banale. Volevo raccontare qualcosa ma in modo particolare.
Ho lasciato vagare i pensieri per qualche giorno finché dal ribollire dell’inconscio non è rispuntato un evento curioso che mi è capitato in un piccolo santuario di Tokyo. Uno di quelli che mette alla prova le credenze di una persona tendenzialmente scettica e che ha legato quindi la magia del Giappone al mio cuore. Piccolo è il santuario, incassato tra i palazzi di cemento della metropoli, come piccoli sono i personaggi all’interno e i fatti di vita quotidiana che si verificano. Ma qualcosa di grande può essere sempre pronto a svelarsi…
Ecco l’importanza delle piccole cose e il valore che si deve imparare ad attribuire ad esse.
 
 
Non vedo l’ora di leggere gli altri racconti.

E voi lo farete?

Buona lettura!

 

 

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