Cinquantatré vedute del Giappone
di
Autori Vari
– 3° parte –
Buongiorno lettori,
ecco la terza e ultima parte di questo post speciale che coinvolge diversi autori!
Qualche settimana fa vi avevo segnalato l’uscita della raccolta di racconti “Cinquantatré vedute del Giappone“, edita Idrovolante Edizioni, a cura di Linda Lercari e Furio Detti, dove potete trovare anche il mio racconto dal titolo: “Il fiore del destino“.
Con la collaborazione di Linda Lercari, che è stata così gentile da fare da tramite, oggi alcuni degli autori della raccolta ci raccontano alcune curiosità in merito al loro racconto, come hanno trovato l’ispirazione o un aneddoto saliente riguardante la sua stesura.
Poiché in molti degli autori hanno risposto all’iniziativa e per non creare un post eccessivamente lungo, ho deciso di dividerlo in tre parti (la prima parte è stata pubblicata lunedì 22 giugno – qui il link se ve la siete persa – e la seconda è stata pubblicata lunedì 29 giugno – qui il link se ve la siete persa).
Partiamo a conoscere altre curiosità di altri autori della raccolta…
Era da tempo che avevo in mente di scrivere un racconto sulla mia esperienza nella pratica del Karate vissuta sin dal 1974. In vita mia non sono mai stato convinto di cose che accadono per destino o per chissà quale magia. Quando Linda Lercari mi ha inviato in quei giorni il bando di concorso per l’Antologia “Racconta il Giappone” devo dire però che questa mia convinzione è venuta un po’ meno. Potevo girare le spalle a questa opportunità? Assolutamente no ed è stata una magnifica esperienza.
Domenica 19 gennaio, mezzogiorno, casa dei miei genitori a pranzo.
“Iris” prende le mosse dalla omonima opera “giapponese” di Pietro Mascagni. Un racconto autobiografico, ispirato a una esperienza che ho avuto il piacere e l’onore di fare anni fa, come corista in occasione di una produzione lirica. “Iris” narra un Giappone onirico e immaginato, in cui lo slancio artistico si mescola a un universo spirituale impalpabile e imprevedibile.
Scrivere è un’esperienza molto personale come lo è la fonte da cui lo scrittore trae ispirazione, nel mio caso si può dire che questa fonte non sia altro che la realtà.
Il colore del Giappone è un flashback, vissuto in un momento molto complesso della mia vita, a una giornata particolare del mio viaggio in Giappone. Dalla rilettura del diario di viaggio scritto due anni prima, unendo il ricordo con il presente, nasce il mio racconto, nel febbraio del 2020.
Sono Iolanda Paladin, il titolo del mio racconto è Sulla riva del fiume Bianco, l’ispirazione nello scriverlo mi è venuta in modo spontaneo, in passato ho letto parecchio sul mondo del Giappone, in particolar modo i libri dell’autrice Banana Yoshimoto. Ad essere sincera ho semplicemente chiuso gli occhi e mi sono creata la storia, in qualche modo mi sembra di esserne parte ed è per questo che mi sono emozionata nella scrittura del mio racconto.
L’ispirazione per il mio racconto parte da un oggetto fisico che risveglia in me sensazioni spirituali e carnali al tempo stesso. L’inchiostro sumi ha per me un odore inconfondibile, è l’aroma della scrittura, della liberazione e del sollievo. Il pennello intinto sgocciola dissanguandosi in nero profondo sul foglio, ma la sua vita non sgorga in vano: l’equilibrio dei chiari e degli scuri sul foglio è un’azione meditativa, riempire di senso ma lasciare anche dei vuoti, sprazzi di luce in cui respirare. In italiano, la parola “scrittura” indica sia il fatto di scrivere “letterariamente” e quindi creare, dare forma al pensiero, ma allo stesso tempo si riferisce anche al gesto grafico di realizzare linee e curve per riempire un foglio di significati e significanti. A mio parere, mai come nel gesto artistico giapponese della scrittura e della pittura sumi-e, si coagula e s’intensifica il significato di quanto è scritto e il segno che lo rende visibile. Sento la composizione letteraria e il movimento del pennello sul foglio come un momento di liberazione dalla gravità del vivere, così la protagonista del mio racconto, si prepara alla scrittura come ad un rituale salvifico e appiattisce “con le mani la carta come per ammansirla” perché sente il foglio come un materiale umano, vibrante di vita. L’arte è rito che consola e guarisce. La protagonista trova nella forma pura e scevra da ogni orpello la liberazione dall’angoscia che la avviliva prima del gesto pittorico. La sua anima è di nuovo pronta ad affrontare la pesantezza della vita, perché inchiostro e pennello sono suoi alleati, pronti a salvarla. Nella pietra suzuri s’intorbida la sua vita, ma la magica alchimia della scrittura rende bellezza il dolore.
Spesso nella stesura dei miei racconti, la scintilla dell’ispirazione parte da una singola parola, un singolo concetto: attorno a quell’input si dipana l’intreccio, nascono i personaggi. Per il racconto selezionato nelle Cinquantatré vedute del Giappone, mi interessava lavorare sul potenziale metaforico che sta dietro al kintsugi, ovvero l’arte di “riparare con l’oro”, praticata dai ceramisti nel Paese del Sol Levante. Un vaso che si rompe non diventa un rifiuto, qualcosa di cui sbarazzarsi frettolosamente: lo si ripara, utilizzando metallo liquido o lacca arricchita di polvere d’oro, riconoscendogli dignità ontologica e conferendogli attraverso questo processo maggior valore. Allo stesso modo Isabella, la protagonista del racconto, riesce a superare il dolore accettandolo, raccogliendo come si suol dire “i cocci”, facendo delle proprie ferite il punto di partenza per la rinascita. In Kintsugi sono condensati vari spunti delle esperienze che nel corso degli anni ho avuto con la cultura giapponese: la pratica dello shodo, i corsi di lingua… Kintsugi è una storia sull’amore: quello di una coppia ma, soprattutto, quello che dobbiamo nutrire per noi stessi.
Il mio è un racconto che unisce la passione per il Giappone, la sua cultura e le sue vicende anche di attualità al mio lavoro di giornalista. Il tutto condito da esperienze e sensazioni di carattere parzialmente autobiografico.
E voi lo farete?
Buona lettura!
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Grazie mille!
Grazie a te 🙂