La parola all’autore:
“Quando ti dirò addio”

di
Artemide Waleys

Buongiorno lettori,
eccomi con la rubrica “La parola all’autore” (se ancora non la conoscete è una rubrica di approfondimento su autrici e autori e i loro libri, e gli approfondimenti sono scritti direttamente dalle autrici e dagli autori interessati).

Oggi ritorna Artemide Waleys e ci parla del romanzo Quando ti dirò addio (in fondo al post tutti i link riguardanti l’autrice).
Qui il link al precedente post La parola all’autore con protagonista Artemide, dove parla della serie di romanzi Serie Club Privè 185.

 

Grazie a Ilaria per avermi dato la possibilità di parlare di questo mio libro.

Quando ti dirò addio penso sia il gayromance che i miei lettori hanno compreso di meno.

Ho cominciato a scriverlo subito dopo la pubblicazione di Una seconda chance, il mio primo romanzo uscito qualche mese dopo il mio racconto d’esordio Silent Night.

Non era un periodo dei più rosei, purtroppo: alcune bookblogger italiane, infatti, mi avevano preso di mira a causa del mio iniziale successo nel Belpaese e si erano inventate calunnie a non finire, compresa una falsa intervista che non ho mai rilasciato anche perché chi mi conosce sa bene che tutto passa nelle mani di Jacopo, mio fedele amico, revisore e traduttore.

La storia che racconto in Quando ti dirò addio non è semplice, perché tocca corde molto profonde e tematiche anche un po’ spinose.

Noah, il protagonista, è innamorato di due uomini: Kevin e William.

Kevin è per lui una sorta di sogno sublimato, l’uomo sicuro di sé che non deve chiedere mai, incapace di amare ma che con lui potrebbe cambiare.

William invece è un mentore, un amico di vecchia data che ha aiutato molto Noah nel suo periodo più buio, colui che può dargli conforto e rassicurazione.

Noah non sa chi scegliere e in più ha anche seri problemi legati al suo passato, a un padre violento che ha reso la sua vita un inferno.

E poi ci sono anche gli amici e Noah dovrà capire quali sono gli amici veri e quali invece vogliono solo approfittarsi del suo successo e dei suoi soldi.

Da qui il titolo del libro: Quando ti dirò addio.

Fino a che punto, infatti, possiamo concedere agli altri di farci del male?

Quando invece possiamo e dobbiamo tagliare i ponti? (inserire immagine quando1)

Questo è il filo conduttore del mio romanzo che, ripeto, alla sua uscita ricevette molte critiche negative.

Inutile dire che mi ferì parecchio, anche se ho imparato che il pubblico ha dei gusti tutti suoi e dei giudizi che a volte sono decisamente bizzarri.

Credo che le critiche relative a questo romanzo siano legate al pregiudizio che una storia, in special modo se a tema LGBT, deve per forza avere un lieto fine.

Io non la vedo in questo modo.

La vita non è una favola dove esiste per forza il famoso “e vissero tutti felici e contenti” e non è vero che chiunque incontriamo lungo la nostra strada vuole il nostro bene.

Spero che chiunque vorrà leggere il mio libro possa guardarlo sotto la giusta luce e capire che, nonostante tutto, c’è sempre un raggio di sole dopo la sofferenza.

Grazie tante Artemide per averci raccontato queste interessanti informazioni.
Concordo, i libri non devono per forza avere un lieto fine, nel senso classico, anzi a volte è molto meglio un finale più amaro, ma che porta consapevolezza al protagonista, dandogli così un maggior senso di libertà a mio avviso.

E voi cosa ne dite?

Buona lettura!

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