Segnalazione:
Il soffio di Clohè
di
Sabrina Gini

Buongiorno lettori,
eccomi con un nuovo romanzo di Sabrina Gini (già conosciuta per il romanzo La finestra rivolta a Est): “Il soffio di Clohè“.

Biografia:
Sabrina Gini nasce a Vinci il 9 febbraio 1969. Diplomata all’Istituto Professionale per il Commercio di Empoli ha fatto di una passione giovanile, la scrittura, una vera e propria ragione di vita. Moglie e madre ama l’ardore dei libri e considera la lettura un vero toccasana. Definisce il suo primo romanzo La finestra rivolta a Est: una storia d’amore senza tempo capace di far sognare senza mai perdere di vista la realtà. Dal carattere dolcemente riservato la scrittrice Sabrina Gini ci regala emozioni genuine, dal sapore antico, attraverso un linguaggio che mira dritto al cuore.

https://www.facebook.com/sabrinaginiscrittrice/

Genere: romanzo narrativa
Editore: self publishing
Data di pubblicazione: 24 settembre 2018
Numero pagine: 245

Sinossi:
21 giugno: solstizio d’estate. 

L’Architetto Sveva Baiamonti e sua figlia Diletta seguono gli ultimi preparativi per l’attesa festa di compleanno, quando una telefonata improvvisa le avverte del brutto incidente automobilistico nel quale è rimasto coinvolto l’ingegnere Raul Feroli, marito di Sveva e padre di Diletta.
Sveva, accorsa in ospedale, ascolta una conversazione tra il personale medico da cui scopre la presenza di una donna sull’auto di suo marito al momento dell’incidente.
Si tratta di Chloé Blanchard, una giovane e bella ragazza francese spuntata dal nulla, che dichiara di essere la compagna di Raul.
Ferma davanti a un bivio, Sveva dovrà scegliere se affidarsi alla più logica e scontata delle supposizioni oppure  seguire la voce di un sospetto che solo una persona a lei vicina potrà chiarire.
Chi è Raul? L’uomo con cui Sveva ha condiviso la sua vita?
Non sempre è un uragano a scatenare la tempesta. A volte basta un soffio.
Un soffio che aliterà dal passato e porterà Sveva a scoprire l’esistenza di una vita parallela alla sua. Un soffio che sfiorando il suo matrimonio lo costringerà a mostrare, alla luce del sole, tutte le sue fragilità.
Un viaggio dentro se stessi, una lotta contro l’orgoglio ferito e le avversità della vita, un segreto gelosamente custodito, il bisogno di ripristinare i giusti parametri e di graffiarsi il cuore prima di poter tornare a dialogare. Soprattutto, la domanda che più di tutto tormenta Sveva: Chi è veramente Chloé Blanchard?

 

Eccovi anche un estratto:
ANTEPRIMA
A bordo della sua nuova auto aveva percorso la stretta via sterrata a una velocità inaudita, sollevando e rilasciando dietro di sé una fitta nuvola di polvere.
Era giunta sul piazzale riversando tutta la forza sul fre
no della piccola utilitaria, facendola arrestare in malo modo.
Non ebbe bi
sogno di annunciarsi: lo aveva già fatto.
Lui le aprì la porta di casa, sorpreso di vederla lì a quel
l’ora insolita e senza un preavviso.
La ac
colse.
La strin
se a sé per salutarla.
Lei re
stò fredda dentro a quell’abbraccio.
Si allontanarono quel tanto che bastò loro per guardar
si negli occhi.

«Sono qui per avere delle risposte» gli disse «e sono sicura che tu le hai!»

CAPITOLO 1

Un giorno prima – 21 Giugno
«‘Roy country resort’! Accidenti!» esclamò Diletta con un’enfasi incontenibile, gettando le braccia al collo di Sveva, sua madre. «Ancora non mi sembra vero di essere qui. Non avrei potuto scegliere una location più bella di questa per tutto ciò che abbiamo da festeggiare, ovvero la mia tanto attesa maggiore età, i tuoi fantastici meraviglio​ si 50 anni e ultimo, ma non per ultimo, l’anniversario di matrimonio delle persone più splendide che potessero mai capitarmi come genitori: tu e papà! Il tutto racchiuso in un solo giorno: 21 giugno, solstizio d’estate. In altre pa role, il giorno perfetto! Grazie, mamma.»
Diletta, sprizzando gioia da ogni poro della pelle, prese a stampare una mitragliante sequenza di baci sonori sulla guancia di Sveva. Poi avvicinandole appena le labbra al
l’orecchio concluse: «Più tardi ricordami di fare lo stesso con papà.»
«Sì. Ok. Basta così!» commentò Sveva con un’aria finta 
mente infastidita. «L’unica cosa che ti ricordo invece, cara Diletta, è che sei un’adulatrice nata e soprattutto una gran ruffiana. Conosci a memoria i nostri punti deboli e sai benissimo come premere su quelli per ottenere esattamente ciò che ti sei prefissata!» L’ammonì bonariamen
te.Non oso pensare al caos che ci sarà fra poco, rifletté Sveva fra sé. E alla musica ad alto volume dal ritmo monotono e martellante. Per non parlare poi di quello stupido sorriso che dovrò stamparmi sulle labbra e tenere incollato lì, piacione e partecipe, per tutta la sera!Il suo sguardo perplesso si appoggiò distratto sull’immagine raggiante della figlia e si ammorbidì all’istante. Le labbra si arcuarono accomodandosi dentro a un soffice sorriso, il quale prese vigore e spazzò via ogni altro pensiero che non fosse Diletta. La guardava e vedeva la vita. Il suo entusiasmo era epidemico e coinvolgente, la sua bocca smaniosa di divorare il domani.
Traboccava dalla frizzante bramosia di correre in con
tro a qualche anno in più, in direzione di quel lasciapassare indispensabile per sentirsi ufficialmente grandi. Persa nella più assurda convinzione che sia sufficiente soffiare sopra a diciotto candele colorate per sentirsi autorizzati alla fatidica frase ‘NonRompeteOraLoPossoUfficialmenteFare’, acquisito finalmente come diritto e sbandierato all’occorrenza.
Frugava dentro agli occhi di sua figlia e vi trovava dub
bi nascosti dietro a tenere e gonfiate certezze, vulnerabilità e smisurata fiducia elargita a mani aperte, talvolta mal riposta. Occhi che troppo spesso, a quell’età, sminuiscono e giustificano ciò che è sbagliato, difendendolo a spada tratta, calpestando l’ennesimo consiglio considerato un reperto obsoleto e fuori moda. Occhi che molto spesso imparano a loro spese quando sia difficile guardare e quanto sia oneroso vedere.
«Si
gnora Feroli. Questi fiori sono per lei!»
Una voce cri
stallina sorprese Sveva alle spalle e la strappò alle sue riflessioni.
«Per me?!» domandò perplessa voltandosi e guardando il volto accaldato e paonazzo del giovane fattorino, men
tre le porgeva un insignificante bouquet di iris bicolore.
«Sono sicura che si sbaglia» riprese guardando la faccia stranita del ragazzo. «Io non amo questa qualità di fiore e non cre
do che qualcuno…»
«Mi scusi. Lei è la signora Sveva Baiamonti Feroli?» ri
prese con foga il fattorino interrompendola, controllando meglio il blocco delle consegne.
«Sì» ri
spose decisa.
«Al
lora non c’è nessun errore!»
Le lasciò il bouquet fra le mani e se ne andò senza ag
giungere altro.
Sveva abbassò lo sguardo su di esso e rimase a guardar
lo stranita. Chi poteva omaggiarla di un bouquet di banalissimi iris bicolore? Chiunque la conoscesse sapeva che detestava quei fiori.
Fu allora che scorse un biglietto seminascosto tra le fo
glie. Lo prese e si affrettò a legger
lo.Goditi la serata. Il tuo fottuto soriso ha le ore contate.Nessuna firma.
Sobbalzò all’eco di quelle parole. Che cos’era, una mi
naccia?
No. Sicuramente solo uno stupido scherzo, del quale ben presto avrebbe colto l’ironia. Allora perché tornò a 
leggere di nuovo quella frase? Erano soltanto una manciata di parole vuote, scritte da una calligrafia sconosciuta e armoniosa, addirittura piacevole alla vista. Se non avesse racchiuso in sé un incomprensibile proposito intimidatorio. Nella loro maniacale precisione, spiccava ancora più stonata l’imperfezione di quel ‘soriso’. Si trattava di ignoranza? Distrazione? Oppure era semplicemente poca padronanza della lingua? Stupidità! Ecco di cosa si trattava. Non poteva esserci nessun’altra risposta alle sue domande se non quella.
Si voltò intercettando il cesto dei rifiuti e con un gesto deciso fece scomparire nel nulla l’inutile orpello. Indossò un’a
ria frivola e raggiunse Diletta, trovandola beatamente assorbita dal suo cellulare e dai suoni che le rimanda
va.


«Per
fetto, signor Riva. L’appuntamento per decidere gli ultimi dettagli è stato fissato. Non mi resta che salutarla.»
Raul Feroli, socio e fondatore dello ‘Studio Associato di Architettura e Ingegneria Civile D&D’, seduto alla grande scrivania del suo ufficio, appoggiò la cornetta del telefo
no e fece un cenno con la mano sinistra autorizzando Melissa a entrare. La ragazza lo stava osservando da qualche minuto, immobile, al di là di una porta a vetro perfettamente ritagliata all’interno di una parete dello stesso materiale. Aveva le braccia stracolme di scartoffie e inserti colorati ed era vistosamente dubbiosa sul fatto di poter procedere. Cliccò quindi sulla maniglia accogliendo l’invito. Un attimo dopo, per liberarsi del peso opprimente sui suoi avambracci, sommerse l’intero piano della scrivania con ciò che trasportava accompagnando i suoi movimenti con un considerevole fracasso. Tentò quindi di sminuire l’accaduto enfatizzando l’esito della sua impeccabile efficienza.
«Le ho portato tutti gli incartamenti che mi aveva chie
sto, signor Feroli, e mi sono permessa di inserirne altri che sono sicura le torneranno utili» spiegò allineando in fretta le cartelline e strattonando il bracciale i cui pendenti si erano nel frattempo odiosamente agganciati a un portadocumenti.
«Mi scu
si.» Arrossì.
Teneva lo sguardo abbassato sopra ai suoi stessi gesti, risultati nient’altro che goffi tentativi di liberare il piano del
la scrivania dal suo braccio steso. Melissa sapeva di dover mettere fine a quella situazione imbarazzante e soprattutto al martellante tintinnio causato dai numerosi pendenti. Uno strattone un po’ più forte e il gomito andò a urtare contro il portapenne.
«Mi scusi di nuovo, signor Feroli, io…» balbettò imba
razzata.
«Lascia stare, Melissa!» rimarcò Raul alzando la voce e balzando in piedi furiosamente. «Me ne occupo io! Puoi an
dare, grazie!»
La liquidò così, con un tono freddo e infastidito. La ra
gazza lasciò la stanza intimorita e impossibilitata ad aggiungere altro. Lavorava in quello studio da due anni e sapeva benissimo di essere maldestra nel muoversi. Aveva dovuto faticare molto per riuscire ad accettare questa parte di sé. Soprattutto per vincere gli sguardi altrui, carichi di insofferenza e superiorità. Nonostante ciò era riuscita a compensare le sue carenze con un operato intuitivo e risolutore, suscitando da parte dei colleghi molta più invidia che biasimo. Non era nuova a situazioni analoghe davanti alle quali Raul, a differenza degli altri soci, si era sempre dimostrato indulgente e comprensivo, praticamente l’unico essere umano racchiuso dentro a quei gabbiotti trasparenti a non averla mai fatta sentire la vittima di se stes
sa.Odio impicciarmi delle paturnie della gente pensò Melissa fra sé, lanciandogli un’ultima occhiata, ma credo proprio che lei, carissimo Dottor Raul Feroli, sia rimasto intrappolato in qualcosa di strano. Non rientra nel suo usuale comportamento una reazione simile!’Lo vide abbassare lo sguardo sugli inserti appoggiati sopra alla scrivania. Era così evidente che non riusciva a vedere oltre i suoi pensieri. Il bip di un messaggio sul telefonino attirò l’attenzione dell’uomo.Non fare tardi stasera o non te lo perdonerò mai!!! Considerala pure una minaccia. Dile.Di seguito una emoticon gli faceva simpaticamente l’occhietto.Ti prometto che sarò il primo a farti gli auguri. A te e alla mamma digitò Raul in fretta.
Una smor
fia rassomigliante un sorriso partì dalle labbra e gli solleticò piacevolmente la faccia.


«Signorina, non le piace?» chiese visibilmente preoccu
pato il responsabile del servizio catering a Diletta. «Certo che mi piace! Quella composizione di frutta è bellissima!» gli rispose la ragazza risoluta. «Non va bene dove è stata posizionata. Tutto qua!»
«Ma, si
gnorina, mi permetta di…»
«NO! A me lì non piace!» proseguì la ragazza con voce calma ma decisa e uno sguardo che non concedeva repli
ca.
«La preferisco laggiù» riprese. «Sul banchetto degli ape
ritivi. E poi quei tavolini, no! Sono troppo vicini al tavolo centrale del buffet. Vanno distanziati e allineati al bordo della piscina. Voglio che ci sia un po’ di privacy fra le persone sedute. E un’altra cosa» proseguì categorica. «Se mai dovessero recapitare qualche mazzo di fiori di colori discordanti da quelli che ho scelto per il tema della serata, lasciateli in disparte: non gradisco accozzaglie floreali.»
«Come desidera» fu la risposta rassegnata dell’uomo, alla quale seguì la smorfietta gioiosa e obbligata delle sue lab
bra.
Sveva si portò la mano sulla bocca per tentare di na
scondere un sorri
so.Spero tu sia dotato di una buona scorta di pazienza commentò fra sé guardando la faccia allibita del direttore del catering. A partire da adesso e per tutta la serata, non sai cosa ti aspetta!Poi si voltò verso sua figlia e rimase in silenzio a osservarla.
Il sorriso le abbandonò la faccia. Diletta parlava con i camerieri e impartiva loro le modifiche, accompagnando i suoi suggerimenti con un movimento fluido delle mani. Le sue dita si arcuavano, si distendevano e indicavano. Talvolta si imponevano rubandole la scena. Le sue un
ghie brillavano mentre le avvicinava ai capelli. Si infiltravano fra le lunghe ciocche dorate e ondulate di una chioma libera e allo stesso tempo imprigionata nella piega impostale. Il suo profilo. La linea morbida dei suoi fianchi. La seta che sembrava assecondarli e strofinarsi leggera a ogni suo passo. L’impronta appena percettibile della raffinata lingerie appositamente studiata per percorrere alla perfezione le curve delle ormai consapevoli malizie. Sveva la vide bella nel suo abito bluette morbidamente allacciato dietro al collo, un po’ troppo avaro nel coprirle la schiena. La vide alta sui suoi sandali e donna, maledettamente e indubbiamente donna, dentro un abbigliamento precoce e contrastante, non con il suo corpo, ma con la sua personalità ancora tutta da forgiare e già così impregnata dal suo carattere forte e impulsivo.
Sveva si imbatté ancora una volta nell’esuberanza di sua figlia e con la sua smania di indipendenza. La trovò teorica e poco coerente con le prove spicciole a cui la quotidianità l’aveva finora sottoposta. La soddisfazione stampata sulla faccia di Diletta, generata e alimentata dal momentaneo ruolo di chi impartisce un ordine, seppur legato a una circostanza, la faceva sentire adulta. Ma una disposizione impartita dall’alto di un sofisticato plateau, scontata conseguenza di un contesto mercenario nel qua
le colui che ubbidisce agli ordini assolve un ruolo momentaneo, non può garantire le sicurezze della vita. Tanto meno la certezza di aver
le.Stiamo facendo un buon lavoro con te, Diletta? Si domandò perplessa Sveva fra sé. Io, come mamma, ti sto camminando alla giusta distanza? Ti sto trasmettendo ciò che è veramente importante? I miei parametri, i confini del mio vedere e il risultato delle mie esperienze, sono giusti per te come persona, come donna, come figlia? Sei una parte del mio corpo che, a un certo punto, si è staccata. So che da quel momento vivi la tua vita, anche se dovrò faticare per riuscire ad accettarlo davvero. Sono egoista, lo ammetto, ma vorrei che tu assomigliassi solo a me e che tu assorbissi i miei pregi e i miei difetti. Per quanto contestabili, li riterrò sempre migliori di quelli degli altri!
Vorr
ei che guardassi il mondo con i miei occhi.
Vor
rei evitare che commettessi quelli che per me sono solo sbagli.
Vor
rei spianarti la strada, per renderla ferma e sicura.
Ma so perfettamente che per riuscirci non posso e non devo con
sentire alla mia ombra di sovrapporsi alla tua.Sveva rifletteva guardando la figlia.Non è facile azzeccare e soprattutto tener fede ai no, ed è dannatamente più semplice e liberatorio scivolare sopra un sì.
Possiamo leggere manuali di vita e ascoltare migliaia e mi
gliaia di consigli elargiti gratuitamente da tutti. Possiamo passare ore per preparaci a essere genitori. Poi dobbiamo aggrapparci all’improvvisazione, e soprattutto all’istinto, per diventarlo davvero. Non è facile prepararsi a ciò che non si conosce, a ciò che ogni giorno ci passa fra le mani e suscita in noi, tira fuori da noi, l’immaginabile. Non è semplice imparare a essere presenti quel tanto che basta per non farsi rimproverare di essere invadenti. Accettare il fatto di non poter conoscere ogni pensiero della loro mente. Di non poter assistere a ogni loro passo. Aiutarli a sentirsi importanti, senza autorizzarli all’onnipotenza. Guardarli andare verso le loro esperienze e provare a frenarli solo per ciò che è dannatamente prematuro. Non intralciarli quando si butteranno a testa in giù per cogliere l’attimo. Non esentarli dal caricarsi le responsabilità sulle spalle, almeno quel tanto che serve a irrobustirle e fortificarle. Non è facile far convivere loro con il nostro carattere, i nostri gusti, le nostre opinioni. Assorbire la sfumatura di un amore mai provato prima, con la consapevolezza di impersonare dei ruoli dei quali potremmo non essere all’altezza. Non c’è un copione. C’è invece un palcoscenico pieno di improvvisazioni, un unico spettatore: la vita!Riflessioni e domande che sembravano intenzionate ad assorbire la mente di Sveva. Ospiti non graditi in una serata dal contesto decisamente diverso. Non c’era spazio per loro. Chiuse gli occhi per afferrarli e a lanciarli in alto, come fossero coriandoli. Ma loro non ricaddero al suolo, bensì rimasero là, sospesi nell’aria, invisibili e incolori, muti e clandestini.

Una bellissima e giovane donna bionda, dalla figura armoniosa e slanciata, tacchettava sul viale. Calzava delle raffinate scarpe rosse col tacco alto, aperte sul calcagno e allacciate alla caviglia.
Le fibbie dorate sui sottili laccetti lucidi aggiungevano un toc
co di classe alle caviglie sottili.
Ondeggiava morbida, avvolta alla perfezione dal suo tubino leggero a collo alto e privo di maniche. Con una mano sorreggeva una borsa piccola e griffata, mentre l’u
nico proposito dell’altra sembrava essere quello di sfoggiare l’enorme pietra di onice nero aggrappata al dito medio.
Non poteva passare inosservata, lo sapeva. Era solo ciò che si era prefissata.
Ave
va percorso tutto il marciapiede del lungo viale fino all’altezza di un grande edificio, del quale si apprestò a salire i gradini esterni con estrema decisione. Due ante scorrevoli si aprirono lentamente e annunciarono il suo ingresso.
Gli oc
chi di Melissa e delle colleghe non rimasero indifferenti a quella singolare visione.
«Buonasera, sono Lara» disse la ragazza addetta al rice
vimento clienti.
Senza attendere risposta proseguì: «Come posso esserle uti
le?»
«Ho urgenza di parlare con Raul, Raul Feroli» rispose la donna con fermezza, facendo trapelare dalla voce una cer
ta confidenza con quel nome.
«Non serve che mi annunci» proseguì. «Lo raggiungo da sola. Mi dica sol
tanto qual è il suo ufficio.»
Parlava lenta ma decisa, cercando di scandire bene le parole. Il suo fascino, il suo profumo particolare e il suo ac
cento straniero avevano già rivelato qualcosa di lei.
«Mi dispiace ma il signor Feroli è appena uscito. Se mi la
scia un recapito…»
Lara non riuscì a terminare la frase e insieme agli altri rimase in silenzio a guardare la giovane donna mentre si eclis
sava senza salutare.
Le due ante scorrevoli indugiarono prima di richiuder
si mostrando ai presenti una visuale perfetta. La videro lanciarsi verso l’auto di grossa cilindrata parcheggiata lì di fronte, spalancare la portiera e venirne letteralmente inghiottita.
Pochi attimi dopo, un forte stridere degli pneumatici re
galò a tutti i presenti la sfrecciante visione di un elegante e impeccabile bolide che scompariva nel traffico del viale.
Il nuo
vo fiammante fuoristrada di Raul Feroli. 

 

Sembra molto bello.
Cosa ne pensate?

Buona lettura!