Segnalazione:
Sideralis
Fall for me

di
Beatrice Bandieri

Buongiorno lettori,
per Brè Edizioni vi segnalo il romanzo: “Sideralis – Fall for me” di Beatrice Bandieri.

Una storia d’amore (sai che novità…) ma in un contesto di fantascienza! Yahoo!
Vuole dire che ameremo anche fra mille anni? Lo spero.

Biografia:
Beatrice Bandieri, bolognese, si occupa di scrittura e traduzioni. Affascinata dal passato e dal futuro dell’essere umano, ama leggere e scrivere storie ambientate tra stelle e pianeti. Grande amante della natura, nel tempo libero non perde occasione di viverla in compagnia del marito e del loro amato cane Argos. Sideralis – Fall For Me è il suo primo romanzo.

Genere: romanzo fantascienza / d’amore
Editore: Brè Edizioni
Data di pubblicazione: 24 gennaio 2023
Numero pagine: 264

Sinossi:
Siamo in un futuro imprecisato. Sono nati gli Stati Uniti d’Europa e la scienza ha fatto grandi passi avanti, ora c’è chi vive su Marte, chi sulla Luna e chi fluttua nelle stazioni spaziali che gravitano intorno alla Terra. In missione nello spazio, la Comandante Justine Stuart e il Tenente James O’Neil precipitano su un pianeta misterioso. Grazie alle cure di Andrew Ferrari e Sam Hermitt, inizia un’avventura unica, che porterà il gruppo alla scoperta di luoghi meravigliosi, una nuova civiltà e rivelazioni sconvolgenti, che potrebbero cambiare per sempre il futuro dell’umanità. Ma soprattutto, attraverso i rapporti nati con i nuovi compagni di viaggio, Justine inizierà la scoperta della vera se stessa, per ritrovare aspetti della sua personalità che ha ignorato per troppo tempo. Un romanzo in cui esplorazione e sentimento si intrecciano indissolubili per approdare a una semplice rivelazione: l’unica emozione che ci fa davvero volare tra le stelle è l’amore.

 

Vi lascio un estratto:
Se con Sam la situazione era precipitata, con Andy invece andava meglio. Ogni giorno scopriva qualcosa di lui che le piaceva e che le faceva ringraziare il destino di averlo trovato su quel pianeta. Da donna di scienza, non credeva nel destino o nella sorte, ma certe coincidenze erano davvero sorprendenti.

Dopo cena, spesso uscivano a fare due passi. Un paio di volte Andy l’aveva riportata a casa in braccio perché la gamba non ne voleva sapere di guarire del tutto e tornava a causarle dolore se la sforzava. Lei si era dovuta arrendere, si era lasciata sollevare e non aveva potuto fare a meno di osservare le braccia muscolose di lui tese per lo sforzo, domandandosi quando quella stupida gamba sarebbe guarita.

Aveva il sospetto che Andy non restasse più tanto a casa anche perché quando c’era non facevano altro che baciarsi, come due adolescenti al primo amore.

In un’occasione, avevano quasi rischiato di farsi beccare da Sam: Andy era tornato a casa, lei era sulla veranda. Hermitt era arrivato a piedi quel giorno, quindi non c’era la sua auto parcheggiata fuori. Per questo, Andy aveva pensato che Sam non ci fosse e senza darle il tempo di avvisarlo, l’aveva presa in braccio e aveva iniziato a baciarla. L’aveva portata dentro e l’aveva appoggiata sul divano. Poi, come era successo altre volte, Justine aveva cacciato un urlo quando le loro gambe si erano toccate. La ferita era ancora troppo sensibile per tutta quella passione. Andy si era staccato da lei appena in tempo per evitare che Sam li scoprisse sul fatto.

Decisa a darsi un contegno, perché tutto quello non era proprio da lei, Justine chiese a Andy di poter andare a vedere le navicelle. Se fossero stati impegnati a lavorare, avrebbero smesso di pensare alle loro pulsioni.

Così, quella mattina partirono alla volta dell’hangar che custodiva i resti delle astronavi monoposto. Attraversarono la città, in cui Justine non era più tornata dopo l’incontro con Ghti e i consiglieri, passando anche davanti alla famosa Accademia delle Scienze.

Non era ancora riuscita ad andarci, aveva preferito studiare le carte a casa e concentrarsi sulla guarigione. Il riposo forzato sembrava fare bene alla ferita, che iniziava a sgonfiarsi. Ancora un paio di giorni e avrebbe smesso di farle male e avrebbero potuto…

“Basta Stuart, smettila!” pensò, furiosa con se stessa. Avrebbe voluto tirarsi uno schiaffo, ma si limitò ad appoggiare la testa al sedile con poca grazia.

«Tutto bene?» chiese Andy notando che lei teneva gli occhi chiusi e la mascella serrata. Stava forse male?

«Sì, tutto bene, solo un po’ di nausea» mentì. Non poteva certo dirgli che ce l’aveva con se stessa per i pensieri sciocchi che le ronzavano in testa.

«Se vuoi torniamo a casa, ci andremo domani a vedere le navicelle e…» le disse Andy che non pareva sospettare nulla.

«No! No!» gridò. Poi, resasi conto di aver esagerato con la reazione continuò con un tono più tranquillo «vedrai, mi farà bene, ho bisogno di cambiare aria.»

«Ok, se lo dici tu» disse e le appoggiò la mano sulla coscia sana senza alcuna malizia, come a confermare quanto appena detto.

Justine si sentì morire per quel contatto inatteso e al tempo stesso tanto desiderato: il corpo parve svanire, debole e senza materia come quello di un fantasma. Poi dopo aver ripreso a respirare, si costrinse a smettere di pensare a Andy e alla sua mano, che nel frattempo si era staccata, concentrando i pensieri sulle scoperte che aveva fatto studiando i documenti degli utardan.

Il livello della tecnologia e delle scoperte scientifiche di Utardt era di poco più arretrato a quello della Terra qualche anno prima dell’arrivo su Marte, all’inizio del XXI secolo. Con gli strumenti e le conoscenze a loro disposizione, gli scienziati utopiani avevano creato una mappa approssimativa del loro sistema solare e della loro galassia. Il sistema solare era formato da cinque pianeti e, per quanto ne sapevano, Utardt era l’unico su cui ci fosse vita. Visti i dati a disposizione, anche Justine valutò che era improbabile trovare vita sugli altri pianeti. Attorno a Utardt orbitavano due satelliti, Appal e Asstal, le due Lune che aveva visto la prima notte dopo lo schianto. Il moto di rivoluzione di Utardt intorno al suo sole si compiva in 249 giorni Utardtiani, anche se le giornate erano più lunghe. Justine si ricordò che quando era arrivata, le sembrava che il sole non tramontasse mai. Infatti, scoprì che la giornata su Utardt durava all’incirca 36 ore terrestri. Considerando questo aspetto, l’anno terrestre e l’anno utopiano, avevano una durata simile a livello temporale.

Non era stato semplice studiare quelle carte, piene di simboli sconosciuti, ma piano piano era riuscita a capire quanto bastava per arrivare a quelle conclusioni.

Gli scienziati avevano battezzato Aadon la galassia nella quale si trovava il loro pianeta. Studiando le carte stellari, Justine non aveva trovato nulla che le ricordasse nemmeno le mappe a cui era abituata. Nessun gruppo di stelle e nessun pianeta le fu utile per orientarsi. Quindi, non restava che una possibilità: quella che Utardt fosse in un’altra galassia, sconosciuta agli esseri umani e lontana chissà quanti anni luce dalla Via Lattea.

Justine era rimasta sconvolta dall’evidenza: poi, il suo spirito combattivo le aveva fatto pensare che, come erano riusciti ad arrivare, doveva anche esserci il modo di andarsene.

Quando arrivarono all’hangar e Justine vide la navicella, o meglio quello che ne restava, ebbe un tuffo al cuore. Alla serie infinita di domande a cui non aveva trovato risposta, se ne aggiunse subito un’altra: come diavolo erano sopravvissuti?

Della bellissima Niña, così era stata battezzata la caravella che aveva trasportato lei e James, non restava niente. Solo frammenti scomposti e irriconoscibili. La plancia di comando era disintegrata, salvo l’area in cui era installato il localizzatore GPS che le aveva salvato la vita. Anche il sedile era integro ed era stato suo il merito della sopravvivenza, con ogni probabilità. Quello di O’Neil, invece, era spaccato in due e le venne il magone nel pensare a quel povero ragazzo.

«Sì, è messa piuttosto male» disse Andy cogliendo lo sguardo sconvolto.

«Non è messa male, è irriconoscibile, è distrutta» esclamò lei. Che fine avevano fatto gli scudi protettivi installati di recente? In nessuna simulazione di volo le era mai capitato di ridurre il mezzo in quelle condizioni, nemmeno durante i primi anni all’Accademia.

«Vieni, più in là c’è la mia» disse Andy.

L’accompagnò in un’altra area dell’hangar dove c’era la sua nave, intatta; sul lato vide la scritta Niña.

«La vostra Niña ha avuto più fortuna della nostra» disse Justine, con amarezza. Iniziò a considerare l’ipotesi di essere la sola responsabile dell’incidente. In fondo, Andy e Sam avevano fatto la stessa identica strada e ne erano usciti indenni, perché loro no? Non poteva biasimare in alcun modo O’Neil, era certa che lui avesse svolto tutti i suoi compiti. E poi, quella con gli ologrammi di comando tra le mani era lei.

«Come sai, alla fortuna non ci credo. Ho dato un’occhiata a quel che resta della vostra nave e credo di sapere il motivo per cui noi non ci siamo schiantati, mentre voi sì» disse Andy, esitando appena. Sembrava che leggesse nei pensieri di Justine.

«Cioè? Cosa hai scoperto?»

«Non è semplice da dire» esitò «tra i resti della tua navicella, non ho trovato traccia degli scudi protettivi» si decise.

Sull’hangar scese un silenzio di ghiaccio.

«Cosa? Ma…» balbettò Justine. Quello che stava dicendo Andy non aveva senso «ne sei certo? Insomma, magari l’impatto li ha spediti lontani diversi chilometri. Scommetto che sono ancora là fuori, da qualche parte» provò a suggerire.

«Pensaci, se ci fossero stati, tu saresti atterrata senza problemi. Sarebbe stato un normale atterraggio, come è successo a me. Quando sono entrato nell’atmosfera di Utardt si sono attivati e io non ho dovuto fare altro che condurre la nave a terra. Ma no, tu hai perso il controllo perché la nave è andata in avaria al contatto con l’atmosfera» spiegò lui dando voce alla sua teoria.

Non era del tutto sbagliato, anzi, era più che plausibile, ma faceva malissimo sapere che era stata presa in giro in quel modo. Avrebbe preferito sentirsi dire che la responsabile di tutto quello era lei e lei soltanto.

 

Interessante, cosa ne dite?

Buona lettura!