Segnalazione:
Teresina
di
Marina Mobilio

Buongiorno lettori,
per Brè Edizioni vi segnalo il romanzo: “Teresina” di Marina Mobilio.

Teresina è un romanzo storico, ambientato nella seconda Guerra Mondiale a Napoli, ispirato dalla nonna della autrice e ripercorre la vita, difficile, di quegli anni.

A tratti commovente, a tratti divertente, sempre interessante.

Biografia:
Marina Mobilio, nata a Napoli il 6 giugno 1950, con una laurea in Matematica ha insegnato in istituti superiori statali, collaborando con le università di Pavia, Pisa e Trieste. Moglie di un matematico, mamma di tre figli e nonna di quattro nipotini, attualmente è impegnata in Fidapa BPW Italy e in Zero Waste Italy. Appassionata di lettura e scrittura ha pubblicato nel 2012, con il Patrocinio della FIDAPA, “Una vita tra le piante – biografia della botanica Elisabetta Fiorini” Pensieri e Parole, nel 2015 “Arcobaleno – emozioni in versi e racconti” Innuendo Edizioni, a novembre 2020 il romanzo “Teresina e la forza dell’amore” Il quaderno Edizioni, di cui ha conservato i diritti d’autrice, nel 2021 il racconto lungo “In viaggio con Carolina” e l’Antologia di racconti “Dove sta Zazà e altre storie” con Amazon.

Genere: romanzo storico
Editore: Brè Edizioni
Data di pubblicazione: 1° luglio 2022
Numero pagine: 278

Sinossi:
Il romanzo, ambientato in Italia nella prima metà del ventesimo secolo, è la storia di Teresa, una madre coraggiosa, di solide amicizie, solidarietà, impegni, passioni e scelte difficili, tra guerre, epidemie, dittatura, odio e violenza. Le tragiche vicende storiche sono presentate con gli occhi della protagonista, donna forte e determinata, che nasce in una regione del profondo Sud. Un matrimonio combinato dai parenti le consente di evadere verso nuove realtà. La Grande Guerra le porta via il giovane marito, resta vedova con due figli in tenera età e priva di sostentamento economico. Nella drammatica situazione in cui si trova catapultata è costretta a una scelta difficile. Sceglierà di vivere a Napoli, la città dei suoi sogni giovanili, la bella Partenope ricca di storia e cultura, dove manterrà agli studi i figli cucendo per le famiglie del quartiere. Vivrà l’incubo della terribile influenza “spagnola”, le violenze della dittatura fascista, l’orrore delle leggi razziali, i bombardamenti e la fame del secondo conflitto mondiale, che le causerà nuovi lutti. Riuscirà a superare questa seconda terribile prova aiutata dall’amore dei congiunti e dall’affetto delle famiglie amiche. Vivrà la resistenza dei partigiani umbri e finalmente potrà votare, assistendo alla nascita della Repubblica Italiana e poco dopo a quella della nostra Costituzione.

 

Vi lascio un estratto:
Ai figli raccontava le favole, giocava a trottola e alla tombola napoletana che le aveva insegnato donna Amalia e faceva imparare a loro tutti i significati dei novanta numeretti.

La smorfia napoletana era esilarante e consentiva a Teresa di insegnare i numeri ai bambini facendoli divertire.

A lei incuriosiva il collegamento tra i numeri e i sogni.

«Per noi, napoletani veraci, la Smorfia è come il pane quotidiano!» aveva sentenziato la sua coinquilina una mattina che le aveva raccontato il sogno della notte passata.

Donna Amalia i numeri dei sogni se li giocava spesso al lotto, sperando di fare almeno un ambo su qualche ruota. Ma questo non succedeva mai.

Anche la passeggiata da San Sebastiano verso casa, al ritorno dall’asilo, costituiva un allegro gioco per i bambini e consentiva a lei di svagarsi dagli impegni quotidiani.

In piazza San Domenico Maggiore e nei vicoli intorno alla piazza si incontravano giovani travestiti da Pulcinella che improvvisavano scenette esilaranti.

«Bambini, guardate. Arriva ’o Pazzariello!»

’O Pazzariello era un uomo buffo, vestito come un giullare, con un divertente cappello a tubo. Il caratteristico giullare improvvisava per strada strampalati spettacoli, esibendosi in comiche danze, recitando filastrocche e strombazzando con il tamburino, il putipù e lo scetavajasse.

«Mammà, compraci una statuina!»

«A me piace quel pastore che sta sulla collinetta.! È identico a Filippo che mi porta in braccio sulle scale.»

A San Gregorio Armeno, l’antica via San Liguoro, Mimì e Francesco si incantavano davanti alle botteghe dei maestri artigiani, intenti a forgiare statuette e allestire arredi per il presepe napoletano.

Sotto il porticato di via dei Tribunali, di fronte alla chiesa con le “cape di morto”, i pescivendoli e i fruttivendoli si esibivano in allucchi assordanti e comiche canzonette per reclamizzare la loro mercanzia…le alici fresche, le percoche saporite, il pane appena sfornato.

Il divertimento dei bambini saliva alle stelle quando arrivava la mattina della domenica e la giornata si presentava adatta a uscire.

«Andiamo al mare» Teresa faceva fatica a trattenerli quando pronunciava quella frase magica.

Salivano sul tram alla fermata di piazza Nicola Amore, percorrevano tutto Corso Umberto e poi verso il porto e via Partenope.

Scendevano alla fermata di piazza Vittoria.

 Nella Villa Comunale, di fronte al lungomare Caracciolo, i bambini si sfrenavano in lunghe corse tra i viali alberati e la mamma correva a perdifiato dietro di loro per non perderli di vista nemmeno un attimo.

«Mammà, ci porti sulla barca a remi, quella celeste e blu che abbiamo visto domenica scorsa a Mergellina?» le chiese un giorno Mimì, che ormai aveva quattro anni e ricordava anche i nomi dei posti lontani da casa.

«Vedremo…» rispose mammà.

Affittare una barchetta a remi, anche solo per mezz’ora, costava di sicuro almeno mezza lira e a casa Vallina le lire scarseggiavano mentre le spese erano sempre tante.

La precarietà di casa Vallina purtroppo era molto diffusa in quei difficili anni del dopoguerra, tantissime famiglie del Regno d’Italia soffrivano la fame e la mancanza di lavoro.

La “grande guerra” era finita l’11 novembre del 1918 con il terrificante bilancio di più di mezzo milione di soldati italiani periti in battaglia e per le epidemie che si sviluppavano in trincea.

 A questi si aggiungevano i molti civili morti per mancanza di cibo o per malattie infettive.

Dopo aver pianto i tantissimi morti era arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e ricostruire l’Italia.

In migliaia di famiglie gli uomini reduci dalla guerra avevano perso il lavoro e le donne rimaste vedove oppure orfane di padre si arrabattavano in lavoretti di fortuna per sbarcare il lunario.

In parecchie famiglie le donne si dovevano occupare oltre che del sostentamento anche della cura di mariti, figli o fratelli tornati dal fronte con la mutilazione di una gamba, di un braccio o con un altro tipo di invalidità.

Alla spaventosa crisi economica si aggiunse una calamità altrettanto nefasta come la guerra appena finita: l’arrivo di un virus influenzale sconosciuto e assai letale.

L’influenza “spagnola”, che alla fine fu considerata la pandemia più vasta e terribile di tutti i tempi, era partita forse dagli Stati Uniti d’America e si stava diffondendo dalla Spagna in tutta Europa e in tutto il pianeta.

Si raccontava che stava facendo strage di giovani tra i venti e i quarant’anni e che nel mondo si contavano già milioni di morti.

I mezzi d’informazione ne parlavano poco, ma dal passaparola si era saputo che i primi malati italiani erano soldati che l’avevano contratta in trincea ed erano stati curati in Veneto.

«Maronna mia, siamo inguaiati!» si lamentò una sera donna Amalia di ritorno dal mercato.

Raccontò a Teresa che il cugino di don Pasquale, quello che abitava a Nola, lunedì era stato ricoverato al Cardarelli per una polmonite fulminante e dopo due giorni tutta la famiglia aveva preso la stessa malattia. Giovedì il cugino era spirato e si diceva che anche altre famiglie di Nola e forse anche di Ponticelli avevano la febbre alta.

«Speriamo che non sia il virus di cui si parla in giro, sarebbe una catastrofe. Sapevo che si era fermato nel Nord dell’Italia…» Teresa cominciò a preoccuparsi.

Per precauzione, trovandosi proprio nella fascia d’età più colpita, iniziò a non toccare mai le mani delle persone che incontrava, si lavava spesso le sue, come le aveva raccomandato il padre e non abbracciava e baciava nessuno.

I bambini non li portò più all’asilo, non prese più lavori di cucito e usciva solo per fare la spesa, con la bocca e il naso coperti da una sciarpa.

Giocava con i figli nel limitato spazio a disposizione, cucinava quel poco che riusciva a recuperare sotto casa e leggeva quando i bambini dormivano.

Coinvolse anche Amalia nelle sue precauzioni. Insieme a lei e alle gemelle si dava da fare per tenere pulite le stanze, specialmente il bagno e la cucina.

Quando si sparse la notizia che l’influenza era arrivata nei quartieri di Napoli le venne naturale sentirsi in colpa per aver portato i bambini a vivere in quella grande città nella quale la promiscuità, la denutrizione e la scarsa igiene favorivano la diffusione delle malattie.

Furono chiusi i cimiteri, le chiese, i teatri e vietati gli assembramenti di ogni genere.

Amalia tenne chiuso il banco di frutta e verdura per più di un mese e calava il paniere per procurarsi il pane, la farina, le uova per la sua famiglia e per quella di Teresa.

 

 

Interessante, cosa ne dite?

Buona lettura!