Segnalazione:
Veli
di
Maurizio J. Bruno

Buongiorno lettori,
vi segnalo il romanzo: “Veli” di Maurizio J. Bruno, edito Solfanelli edizione.

Autore già conosciuto per il romanzo Ralf Eden.

Biografia:
Eccomi qui. Sono un manager dell’industria elettromeccanica italiana, con una irrefrenabile passione per la scrittura e la lettura.

Sono nato nel 1964 a Pinerolo [TO] ma, fino alla laurea, ho passato la mia vita in Campania, tra Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, e Napoli, dove ho frequentato la facoltà di ingegneria elettronica e mi sono laureato col massimo dei voti nel 1991, discutendo una tesi sulla robotica.

I miei studi sono stati quindi rivolti al mondo scientifico e tecnologico, ma la passione per i libri non mi ha mai abbandonato. Già da bambino, mi divertivo con la fantasiosa Walter Dinick, una immaginaria casa editrice produttrice di fumetti, disegnati a mano da me e da mio cugino e poi distribuiti ad amici e conoscenti. Al Liceo nasce poi la mia prima “opera lunga”, un libello ironico in 33 cantiche dal titolo “Lui, himself“, che racconta, in chiave eroica, quasi mistica, le gesta di un mio compagno di classe, facile obiettivo di satire pungenti.

Nel periodo universitario, divento per quasi cinque anni Segretario Generale del SUN, l’associazione degli Studenti Universitari Nocerini, e collaboro con Solonews, un mensile a distribuzione gratuita dell’Agro Nocerino. Per la piccola testata indipendente, scrivo alcuni racconti, diversi articoli e qualche pungente editoriale.

Direttamente sotto l’egida del SUN, poi, curo e realizzo anche diverse edizioni de “La Bussola – Una guida per orientarsi nel mondo universitario“. Grazie all’aiuto di diversi sponsor locali, l’utile vademecum per la scelta della facoltà viene distribuito gratuitamente, e per diversi anni, agli studenti degli ultimi anni delle scuole superiori della cittadina campana.

Tra il 1990 e il 1995, la mia attività letteraria subisce un certo rallentamento. Tra la laurea e la ricerca di un lavoro gratificante, ho soltanto il tempo di scrivere alcuni brevi racconti, mai pubblicati. In questo periodo cambio anche città. Mi trasferisco a Roma, e inizio a lavorare per la OLIVETTI, per la quale mi occupo del progetto dei terminali per la lettura delle schedine per giochi a pronostico le lotterie.

Nel 1996 ricomincio finalmente a scrivere “sul serio” e verso la fine di settembre del 1997 completo il mio primo romanzo, RALF, un thriller tecnologico che, come la mia tesi di laurea, ha per protagonista un piccolo robot.  Qualche mese dopo, raccogliendo le esperienze collezionate nel tentativo di far pubblicare questo mio primo libro, creo il Rifugio degli Esordienti, un sito internet ricco informazioni e strumenti per scrittori dilettanti. Il sito è stato attivo per oltre vent’anni, animato da una redazione di diverse persone, ricevendo oltre 10.000 visite al mese, e diventando ben presto un punto di riferimento fondamentale e insostituibile per moltissimi scrittori esordienti italiani. Nel 2019, avendo ormai assolto il suo compito, ed essendo ormai diventate innumerevoli le possibilità di pubblicazione per gli scrittori esordienti, sia in self-publishing che attraverso le migliaia di case editrici operanti nel nostro Paese, il Rifugio chiude i battenti e cessa la sua attività.

 Il numero di Agosto 1998 della rivista Millionaire pubblica un lungo servizio sulle possibilità offerte dal settore dei libri e dell’editoria in Italia. Il servizio include una breve intervista al sottoscritto, in relazione all’esperienza da me accumulata con l’attività del Rifugio.

 Nel 1998, decido di far partecipare il mio RALF al prestigioso Premio Urania di Mondadori. Incredibilmente la mia opera prima entra nella rosa dei sette finalisti piazzandosi poi, al quarto posto della graduatoria finale. Purtroppo, il gratificante risultato non è sufficiente per la pubblicazione con la grande casa editrice milanese. La pubblicazione di RALF avviene comunque poco dopo grazie alla vittoria di un altro concorso letterario per opere inedite, il “Cercasi Autore“, organizzato dalla casa editrice Taurus di Torino, che pubblica appunto la prima edizione del romanzo.

 Dal Maggio del 1999 inizio a collaborare con la rivista letteraria cartacea TAM TAM edita dalla casa editrice Proposte Editoriali di Roma, dedicandomi principalmente alle interviste ad autori emergenti. Conosco così tra gli altri Luca Masali, vincitore qualche anno prima del Premio Urania col meraviglioso “I biplani di D’Annunzio” e Vincenzo De Falco, anche lui autore giallista per Mondadori. Più o meno nella stesso periodo, altre testate giornalistiche mi chiedono qualche articolo per le proprie pagine, e così diversi articoli con la mia firma compaiono anche su altre testate letterarie, come Prospektiva, e L’Eroe.

 Nella primavera del 2000, l’agenzia letteraria Il Segnalibro mette in cantiere l’ambizioso progetto di una rivista letteraria di qualità: 32 pagine a colori in un bel formato, con articoli che portano le firme di personaggi importanti. Fin dall’inizio, il direttore editoriale della rivista, Bruno Fontana, mi chiede di far parte della Redazione e di partecipare con uno spazio fisso alla struttura del magazine, che prende il nome de Il Laboratorio del Segnalibro. Accetto così di curare per alcuni anni una stimolante rubrica dedicata al rapporto tra il mondo del libro e l’innovazione tecnologica, che diventata presto uno degli spazi fissi più seguiti della rivista.

Ad ottobre 2001 vede la luce il mio secondo romanzo EDEN. Ambientato decisamente in un futuro più lontano del precedente, EDEN viene giudicato da chi ha letto RALF ancora più avvincente e piacevole del precedente. Con EDEN decido di ritentare l’avventura del Concorso Urania di Mondadori, ma ancora una volta pur entrando nella rosa dei finalisti, non riesco a vincere il concorso. Riparto così con nuova grinta alla ricerca di un editore più piccolo, ma affidabile, che voglia affrontare con me la sfida di un mercato difficile.

A gennaio 2002, dopo lunghi mesi di preparazione, riesco a dare vita, insieme ad un’incredibile gruppo collaboratori, chissà perché tutte donne, ad un nuovo, ambizioso progetto. Nasce così DANAE, Distribuzione Autonoma Nazionale Autori Esordienti, un’associazione di scrittori pubblicati ma non ancora famosi, che si interessa in prima persona, grazie al lavoro dei propri Soci, della distribuzione in libreria, della promozione pubblicitaria e della vendita per corrispondenza dei libri dei propri associati. Sin dalla sua nascita, DANAE si impone di accettare nel proprio catalogo soltanto libri che, per contenuto, realizzazione editoriale e prezzo di copertina, saranno in grado di garantire la soddisfazione dei propri lettori. L’ammissione in DANAE di ogni libro è perciò subordinata al superamento di un severo esame da parte di un’apposita commissione esaminatrice. Strumento principe della promozione dei libri del proprio catalogo diventa poi DANAE Magazine, una vera e propria mini-rivista letteraria che viene distribuita gratuitamente nelle librerie servite dalla distribuzione DANAE. Al suo apice, DANAE accoglie nel suo catalogo oltre 200 titoli e serve una rete di una trentina di Librerie, su tutto il territorio nazionale. Anche l’esperienza di DANAE si conclude nel 2019, in funzione della piacevole considerazione che oggi è possibile acquistare il libro di un autore “non ancora famoso” praticamente attraverso tutte le più importanti librerie on-line.

Il 10 Luglio 2002, il quotidiano “L’Unità” pubblica un’intervista al sottoscritto all’interno di un articolo della rubrica Orizzonti.

Negli anni che seguono, fino al 2008, Il Rifugio e DANAE assorbono praticamente tutto il mio tempo libero e mi tengono lontano dal foglio bianco. In questo periodo l’unico frutto letterario della mia scrittura è il saggio “IL FILO D’INCHIOSTRO”, un utile vademecum per gli Scrittori Esordienti firmato da me e dalla prof. Piera Rossotti Pogliano che condivide con me l’avventura del Rifugio e di DANAE, e che condensa in agili pagine i migliori consigli che siamo riusciti a mettere insieme per gli scrittori “non ancora famosi”.

A giugno del 2007, anche la mia carriera professionale nel mondo dell’industria registra un’importante novità, visto che lascio l’OLIVETTI per la SEKO, una dinamica azienda italiana con filiali in tutto il mondo, leader nel settore delle apparecchiature di dosaggio. Per questa azienda, divento infatti prima responsabile dell’area elettronica della Ricerca & Sviluppo, nonché coordinatore di tutti i progetti in corso nei numerosi stabilimenti del gruppo, distribuiti in decine di Paesi del Mondo per poi diventare Manager del Marketing di Prodotto e quindi guidare l’intero processo dello sviluppo dei nuovi prodotti. Ancora una volta, il tempo a disposizione per la scrittura e anche per il Rifugio e DANAE si riduce drasticamente per cedere spazio agli impegni professionali.

Nel 2008, la dinamica casa editrice campana CREATIVA, conosciuta proprio tramite DANAE, decide di pubblicare il mio EDEN nel frattempo rimasto inedito e, quasi contemporaneamente, la UNI Service di Trento, ripubblica RALF, visto che, nel frattempo, la Taurus aveva cessato di esistere.

Nel 2009 mi sposo e ritrovo una grande serenità che stimola, ancora una volta, il mio bisogno di comunicare attraverso la scrittura. Quel foglio bianco torna così a coprirsi di inchiostro, per quanto la metafora cozzi con lo strumento elettronico che utilizzo per scrivere, e che non spreca né carta, né inchiostro. Fatto è che comincia a prender corpo anche il mio terzo romanzo, VELI, decisamente più corposo e più strutturato dei primi due, che unisce la dimensione tecnologica e futuribile dei primi due romanzi ad un’attenta ricerca sul passato storico della Napoli borbonica e del poliedrico personaggio Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, alchimista, scienziato e dominatore indiscusso di quel periodo storico. Completato nel 2012, il romanzo viene presto pubblicato dall’Editore Fabrizio Filios in un’edizione a tiratura limitata, di cui tutte le copie vanno rapidamente esaurite,

Nel 2013, sempre tramite DANAE, entro in contatto con Marco Solfanelli, Direttore Editoriale di Tabula Fati e di Edizioni Solfanelli. Marco è un Editore con la “E” maiuscola e comprende subito le potenzialità dei miei romanzi e, man mano che i vecchi contratti di edizione giungono a scadenza, decide di ripubblicarli uno ad uno, anno dopo anno, in una spettacolare veste editoriale.

Nel 2017 il mio romanzo EDEN, ripubblicato l’anno prima da Solfanelli nella colla Sci-Fi di Tabula Fati, partecipa al prestigioso Premio Vegetti per romanzi editi di Fantascienza. Ancora una volta, finisco nella rosa dei finalisti, sono invitato sul palco della premiazione a San Marino, ma sfioro la vittoria senza raggiungerla.

A partire dal 2019 incremento la mia presenza nei social, mi iscrivo a decine di gruppi letterari e costruisco una specifica pagina Facebook per ciascuno dei tre romanzi dove è possibile leggere on-line il primo capitolo di ognuno dei libri, recensioni, interviste ed entrare in contatto direttamente con me. Nello stesso periodo nasce il mio canale YouTube, che ospita i Book-Trailer dei romanzi, veri e propri mini-film di 2 minuti che catapultano il lettore direttamente nel mio mondo, insieme a presentazioni, interviste, partecipazioni a trasmissioni e video recensioni.

A Ottobre 2021 è RALF, il mio primo romanzo, a darmi inaspettatamente una nuova, bellissima soddisfazione. Pubblicato l’anno prima in una nuova stesura e con una nuova veste editoriale da Tabula Fati, il romanzo viene prima proposto dai soci della World SF Italia, l’Associazione degli Scrittori di Fantascienza Italiani nella rosa dei tre finalisti candidati al Premio Vegetti 2021, e viene poi votato da una prestigiosa giuria come MIGLIOR ROMANZO DI FANTASCIENZA ITALIANO DEL 2021.

Riferimenti:

La pagina Facebook di MJB:            https://www.facebook.com/profile.php?id=100000508762725

La pagina Facebook di RALF:         https://www.facebook.com/RALF.di.MJB

La pagina Facebook di EDEN:         https://www.facebook.com/EDEN.di.MJB

La pagina Facebook di VELI:          https://www.facebook.com/VELI.di.MJB

Il canale YouTube “I Libri di MJB”: https://www.youtube.com/channel/UCnyxQEGudH8-yw1FuNDksfw

 

PRESENTAZIONE

      VELI è l’ultimo romanzo di Maurizio J. Bruno, un ingegnere dalla scrittura veloce ed accattivante che ci ha già regalato in passato delle piacevoli avventure. Ma questo suo ultimo lavoro, edito da Solfanelli, è forse ancora più sorprendente di quelli che l’hanno preceduto, tanto da non essere neppure facilmente inquadrabile in una delle categorie letterarie cui siamo abituati. Si tratta infatti di un intreccio che miscela in maniera fluida ed organica vicende storiche del passato storico e avvenimenti del presente più tecnologico per dar vita ad una trama ben congegnata che trasporta inesorabilmente il lettore in un mondo credibile e avvincente.

      La storia si apre con un inaspettato prologo ambientato nella Napoli di oltre due secoli fa, che ci mette subito in contatto diretto col protagonista impalpabile e onnipresente di questo romanzo, Raimondo di Sangro, settimo Principe di Sansevero, scienziato, alchimista, ma soprattutto indiscusso dominatore dei salotti e delle corti della Napoli borbonica del 1700.

      Poi, con un salto nel tempo e nello spazio, la storia ci trasporta in una frenetica ma sempre romantica Roma dei giorni nostri. E’ proprio nel traffico della Capitale che Sergio, un giovane ingegnere dell’ESA, l’ente spaziale europeo, e Sandra, una brillante storiografa impegnata in uno stage presso la Biblioteca Vaticana, si incontrano per un caso del tutto fortuito. Lui è indaffarato a mettere a punto i sistemi ambientali che garantiranno aria e acqua pulita a bordo dello SkyRider, la prima navetta con equipaggio umano destinata a raggiungere Marte, mentre lei è quotidianamente alle prese con la Roma del ’700 e con gli ultimi colpi di coda dalla Santa Inquisizione. Due mondi distanti e diversi tra loro come il giorno e la notte che vengono casualmente in contatto proprio alla vigilia di quello che si rivelerà per entrambi, e per motivi diversi, un momento cruciale delle loro vite.

      Saranno proprio gli studi di Sandra a condurre i due sulle tracce del poliedrico ed affascinante principe partenopeo e nei i luoghi che l’hanno visto protagonista, gli stessi in cui Sergio ha vissuto, pochi anni prima, da studente. Alla ricerca del bandolo della matassa in un vero rompicapo giudiziario insabbiato fin dal 1751, la storiografa trascinerà Sergio nella famosa Cappella Sansevero, riportandolo in quella Napoli dove lui ha frequentato l’Università e in altri luoghi della sua Campania, proprio nei giorni in cui il ricercatore scopre che anche lui dovrà far parte dell’equipaggio che partirà alla volta di Marte con lo SkyRider.

      Quella partenza verso il pianeta rosso, fino a quel momento così lontana nel tempo e nello spazio, diventa improvvisamente un fatto imminente e personale che irrompe con decisione nella vita di Sergio, e indirettamente anche in quella di Sandra, che si sta rapidamente innamorando di lui. Una scelta irrinunciabile, comunque, quella di partire. Irrinunciabile per Sergio, per non sprecare l’occasione professionale della sua vita, e irrinunciabile per la stessa civiltà europea, per evitare che i Cinesi arrivino per primi su Marte e soffino così definitivamente all’occidente il primato industriale e tecnologico, e con esso la guida sociale e culturale del nostro pianeta, col rischio di trasformare tutto il mondo in una gigantesca Pechino, coi suoi controsensi e le sue contraddizioni.

      Ma prima di partire c’è ancora qualcosa da mettere a punto nel progetto della navetta europea, e le menti più brillanti del ventunesimo secolo non sono ancora riuscite a trovare una soluzione sufficientemente sicura ed efficace per questo problema. Possibile che la scienza illuministica di Raimondo di Sangro possa venir loro in contro in modo assolutamente inatteso?

      In un vortice di avvenimenti, di colpi di scena e di audaci mascalzonate, i due ragazzi riusciranno ad unire le loro forze e a venire a capo di entrambe le faccende, spinti dall’irrefrenabile energia del loro nascente amore e dal loro indomito spirito di veri ricercatori.

      Intorno a loro, decine di personaggi costruiti con tratti precisi e realistici, creano un universo palpabile e concreto che spinge ineluttabilmente il lettore a calarsi completamente nella vicenda, fino a sentirsene parte attiva. Conquistato dalle effervescenti amiche con le quali Sandra condivide il suo appartamento romano, e coinvolto dal clima goliardico dei compagni di lavoro Sergio, il lettore si troverà infatti, ben presto, immerso anche lui nel mondo concreto e un po’ frenetico dei due ricercatori. E qui si imbatterà in tante personalità che resteranno a lungo impresse nella sua mente, come l’affascinante figura dell’anziano dottor Fulcroy, inaffondabile e indomito trascinatore del progetto SkyRider che, in barba ai suoi oltre settant’anni, riesce facilmente a tener testa ai suoi capisettore, di gran lunga più giovani di lui.

      VELI è quindi un romanzo che coinvolge per l’avvincente intreccio delle sue storie dense di misteri e di azione, di passato e di futuro, di scienza e di storia, ma che, in fondo, non fa altro che raccontarci la storia di due giovani dei nostri giorni, ricordandoci, a suo modo, che la coppia perfetta non è quella formata da due persone molto simili ma, al contrario, proprio quella in cui due persone, due mondi, due caratteri totalmente diversi, riescono a fondersi e a capire che la propria ricchezza è nascosta proprio nella opportunità di mettere a fattor comune, quelle esperienze e quei due modi di affrontare i problemi e le difficoltà della vita così tanto distanti tra loro.

Genere: romanzo fantascienza
Editore: Solfanelli edizione
Data di pubblicazione: 1° gennaio 2017
Numero pagine: 416

Sinossi:
Un giovane ingegnere dell’ESA, l’ente spaziale europeo, e una brillante storiografa impegnata in uno stage presso la Biblioteca Vaticana si incontrano nel traffico di una frenetica, ma sempre romantica Roma. Lui è indaffarato a mettere a punto i sistemi ambientali che garantiranno aria e acqua pulita a bordo dello SkyRider, la prima navetta con equipaggio umano destinata a raggiungere Marte, mentre lei è quotidianamente alle prese con la Roma del ’700 e con le malefatte compiute in quel periodo dalla Santa Inquisizione. Due mondi distanti e diversi tra loro come il giorno e la notte che vengono casualmente in contatto proprio alla vigilia di quello che si rivelerà, per entrambi e per motivi diversi, un momento cruciale delle loro vite. A spingerli l’uno verso l’altra, la carismatica presenza di Raimondo di Sangro, settimo Principe di Sansevero e ideatore della famosissima cappella omonima sita nel cuore di Napoli che, col suo Cristo Velato, è meta ogni anno di migliaia di visitatori da tutto il mondo. Ma il vero protagonista del romanzo è forse proprio l’affascinante figura del Principe di Sansevero che aleggia in tutte le pagine del libro: Raimondo Di Sangro fu un personaggio misterioso e controverso che, con le sue pratiche esoteriche, divenne l’assoluto dominatore della corte borbonica napoletana per tutto il diciottesimo secolo. Ancora oggi sono tantissimi i misteri e le leggende che ancora circolano sul suo conto, ed è proprio da uno di questi antichi enigmi irrisolti che prende vita la trama di questa coinvolgente avventura, che getta un godibile ponte tra le storie insolute di oltre due secoli fa e la tecnologia e le vicende socio-politiche dei nostri giorni. Un romanzo pieno di azione e colpi di scena, che trascina il lettore tra gli intrighi e le mascalzonate di una trama avvincente ma mai contorta, e che per questo si lascia leggere tutta d’un fiato.

Vi lascio anche un estratto:

     Napoli, 2 Dicembre 1751

PROLOGO

     La pioggia scrosciante scivolava sulle ampie vetrate che davano su Piazza Duomo. I lampi riverberavano da dietro i pesanti tendaggi e il cupo brontolio del tuono faceva tintinnare i bicchieri all’interno della massiccia cristalliera sulla parete di fronte. In piedi, al centro dell’ampio salone, Raimondo era tormentato da infausti pensieri che la tempesta non faceva che accentuare. La luce tremula di numerosi candelabri copriva le pareti della stanza di ombre danzanti. In silenzio, il principe ritornò verso il piccolo scrittoio nell’angolo della sala, spense il lume a olio che ne rischiarava il piano e riprese per l’ennesima volta tra le mani la lettera che aveva terminato di scrivere da oltre mezz’ora. Voltando le spalle a uno dei candelabri della stanza rilesse con lo sguardo triste le poche righe che aveva già firmato con le insegne della famiglia dei Sansevero. Sapeva che quella notte sarebbe potuta essergli fatale, ma proprio il tremendo temporale che scuoteva Napoli gli lasciava una flebile speranza. Per quanto ci pensasse e ci ripensasse non riusciva a trovare un modo migliore di mettere su carta quel che doveva, eppure non si sentiva per nulla soddisfatto della lettera che stringeva tra le dita.

     Sentì bussare con delicatezza alla porta del salone e automaticamente diede l’avanti.

     “Signurì’, la cena è pronta. Stasera v’aggio preparato o crapett’ ch’ e’ patane e a pummarola. Faccio mettere in tavola, eccellé ?”[1]

     Sulla soglia dello studio Bianchina, la vecchia governante che era al suo servizio fin da quando era un bambino, stringeva tra le mani tremanti per l’età l’ennesimo candelabro e aspettava una sua risposta con lo sguardo sereno di sempre. Bianchina era per il Principe la cosa più simile a una madre che avesse mai conosciuto, dopo la morte prematura di Cecilia Gaetani D’Aragona, avvenuta quando lui aveva appena un anno. Anche se era disdicevole per un uomo nella sua posizione, provava un sincero affetto per l’anziana donna di servizio.

     “No Bianchina, mi dispiace, ma stasera non tengo fame. Dite a Tonio che può anche chiudere il portone e andarsene a letto. Io farò lo stesso tra poco.”

     La donna ebbe un piccolo sussulto. Raimondo sapeva che anche lei nutriva per lui un affetto profondo e che se avesse potuto gli avrebbe ricordato che non era affatto cosa buona mettersi a letto senza cena. Ma la donna non era nella condizione di poter contraddire il Principe e così si congedò senza alcun commento dal suo padrone e uscì dal salone richiudendo la porta alle sue spalle.

     Quasi contemporaneamente un tuono più forte degli altri scosse l’intero palazzo, arrivando a far risuonare perfino le campane del duomo. Raimondo sobbalzò, ma si rallegrò ancora una volta, sperando che la burrasca potesse salvarlo dalla sorte che lo attendeva. Se fosse riuscito a passare indenne quella notte, la mattina seguente la sua carrozza sarebbe ritornata dalle Puglie e lui sarebbe potuto ripartire immediatamente alla volta di qualcuno dei suoi possedimenti più remoti, senza destare troppi sospetti, e lì sarebbe potuto rimanere almeno finché le acque non si fossero calmate. La fuga era sicuramente una soluzione vile e ignominiosa, ma qualunque via d’uscita sarebbe stata migliore che accettare di finire sotto il giudizio Romano della Santa Inquisizione.

     Il principe di Sansevero era sempre stato un personaggio un po’ strano e bizzarro. In un’epoca in cui i nobili consideravano disdicevole e plebeo interessarsi di meccanica, di alchimia e di astronomia, Raimondo era riuscito a conquistarsi la fiducia del re proprio grazie alle sue invenzioni e alle sue scoperte. Anzi, Raimondo de Sangro, settimo principe di Sansevero, era stato accolto a corte proprio grazie a una di queste sue trovate geniali, una speciale mantella impermeabile che aveva offerto al re durante una battuta di caccia sotto la pioggia, e dalla quale il sovrano non si era più voluto separare. Già quella volta, dunque, la pioggia era stata sua alleata. La sua posizione si era poi consolidata col passare del tempo, sempre grazie ai ritrovati tecnologici che sapeva proporre al re al momento giusto. Come quando era riuscito a fornire all’artiglieria di corte una carta per i proiettili dei cannoni più resistente e affidabile di quella che erano sempre stati costretti a procurarsi dall’Inghilterra. Ma era stata proprio l’invidia per questa sua ottima posizione a corte e per la fiducia che il re riponeva nelle sue capacità tecnologiche a procurargli, forse, nello stesso tempo anche l’odio di qualcuno. Un ambiente difficile quello della corte del Regno delle Due Sicilie. Come quello di qualsiasi altra corte, d’altra parte. Ma ormai era un fatto che negli ultimi mesi strane voci sul suo conto erano cominciate a circolare un po’ dovunque; voci che lo volevano eretico e blasfemo, addirittura vicino alle teorie newtoniane d’oltremanica. Voci infondate, senza dubbio, proprio adesso che i suoi interessi erano concentrati su argomenti molto più tecnici che teologici. Proprio adesso che le sue ricerche nella stanza segreta della Fenice, sotto il salone principale del suo palazzo, lo avevano portato a una scoperta che neanche la sua scienza sapeva ancora qualificare. Ma, evidentemente, quelle voci avevano seguito il percorso sperato da chi le aveva messe in giro, ed erano giunte alle orecchie più adatte. Quei due monaci gesuiti, Innocenzo Molinari e Francesco Pepe, lo avevano interrogato già cinque volte, facendosi accogliere nel suo palazzo come messi della Santa Sede. Il principe aveva fatto di tutto per convincerli della sua estraneità a quelle o ad altre teorie teologiche. Gli aveva mostrato la cappella di famiglia, a pochi passi dalla sua dimora, che stava facendo rimodernare con magnifiche opere d’arte dai più grandi artisti dell’epoca. Era arrivato a parlar loro anche delle teorie scientifiche delle quali si stava interessando in quel momento per mostrar loro quanto fossero lontane dall’essere eretiche. I due monaci avevano sempre annuito in silenzio, ma Raimondo aveva capito benissimo che nessuno dei due aveva mai avuto alcun dubbio sulla sua colpevolezza. Nel loro mondo le voci di corridoio, le denunce anonime e le delazioni contavano più delle prove, e quelle visite nel palazzo dei Sansevero erano solo un passaggio obbligato verso un finale inevitabile nel quale il principe sarebbe stato trascinato di fronte al tribunale della Santa Inquisizione, a Roma, e quindi tradotto in carcere o, peggio ancora, al patibolo. Ma per fortuna Raimondo aveva ancora qualche amico nella curia partenopea, e aveva saputo per tempo che l’ultimo atto di quell’inchiesta sarebbe scattato quella notte. I due monaci, accompagnati da quattro guardie vaticane, erano già in viaggio da Roma alla volta di Napoli. Quella notte stessa si sarebbero presentati al palazzo Sansevero in Piazza Duomo e avrebbero costretto il principe a seguirli nel loro viaggio di ritorno verso la Santa Sede. Purtroppo, Raimondo non aveva potuto approfittare in pieno di quella soffiata. Non si era potuto spostare dal suo palazzo perché la sua carrozza era appena andata ad accompagnare la moglie presso la dimora del padre di lei, nelle Puglie, e la sua partenza a bordo di un mezzo diverso avrebbe dato troppo nell’occhio. E poi, d’altra parte, anche se avesse avuto a disposizione la sua carrozza, non era neppure sicuro che sarebbe davvero partito prima di mettere al sicuro i risultati scientifici ai quali era appena giunto. Aveva riposto un suo scritto e alcuni contenitori di vetro in una piccola cassa di legno, e aveva passato il pomeriggio a nascondere personalmente quel materiale in un luogo segreto, ma non lontano dal palazzo. Dopodiché si era dedicato a scrivere di suo pugno la lettera che ora aveva ripiegato e riposto nelle sue tasche. Era una lettera apparentemente innocua, ma letta dagli occhi giusti avrebbe potuto rivelare il luogo in cui quel materiale era stato nascosto. Raimondo la immaginava come una specie di testamento, o di assicurazione sulla sua reputazione, che stava lasciando ai suoi posteri qualora le cose si fossero messe al peggio.

     Ma la tempesta gli lasciava ancora un tenue filo di speranza: ora che aveva sistemato ogni cosa, non appena la sua carrozza fosse tornata, una sua partenza non avrebbe dato nell’occhio e forse, sfruttando gli amici che ancora aveva, a corte e nella curia, in poche settimane sarebbe riuscito a far rientrare il problema.

     Un forte rumore lo scosse da quei pensieri. Sulle prime pensò a un nuovo tuono. Ma poi il rumore si ripeté, ritmato e più chiaro, tanto da non dare adito a errate interpretazioni: erano colpi decisi sul portone d’ingresso del suo palazzo che aveva appena fatto serrare. Prese un candelabro dalla bassa cervantes che occupava un intero lato del salone e cominciò a scendere lentamente gli ampi gradini dello scalone che portava giù, nell’atrio d’ingresso. Tonio era già sceso e aveva aperto lo spioncino del portone. Dalla piccola finestrella quadrata la pioggia entrava con prepotenza nel palazzo, tanto che la faccia dell’uomo era già tutta bagnata.

     “Chi site? Che ‘vulite a chest’ora?”[2] stava urlando attraverso lo stretto spiraglio.

     “Sono Padre Innocenzo Molinari, e con me ci sono anche Padre Francesco Pepe e le guardie della Santa Sede. Dobbiamo parlare col Principe”

     La voce del gesuita, più alta di un’ottava, strideva per sopraffare il rumore del temporale e l’angusto spioncino non riusciva a nascondere la soddisfazione del monaco per quella visita notturna.

     “E nun putite turnà ddimane matina? O principe se juto a cuccà!”[3]

     “Apri questo portone, o te ne pentirai, disgraziato!” urlò ancora il prete, fermo sotto gli scrosci della pioggia.

     “Apri, Tonio” confermò il principe dallo scalone. “E poi vatti ad asciugare che sei tutto bagnato.”

     “Principe, ma chisti me pare ca tenano mala capa”[4]

     “Non ti preoccupare Totò. Falli entrare e poi lasciaci soli.”

     Senza ribattere nulla lo stalliere cominciò ad aprire il portone, nello stridore dei chiavistelli. Non appena aprì, i due monaci e i quattro armati si riversarono all’interno insieme alla pioggia sempre più inferocita. Erano ancora sull’arco della porta quando un lampo illuminò a giorno la piazza, definendo in controluce le loro sagome. Tonio, completamente bagnato anche lui, si affrettò a chiudere il portone alle loro spalle e poi si allontanò come il suo padrone gli aveva chiesto. I sei visitatori si ritrovarono nell’ampio vano d’ingresso, grondando acqua da tutte le parti.

     Raimondo scese gli ultimi gradini che lo separavano dai nuovi arrivati e si trovò faccia a faccia con Padre Innocenzo Molinari. La pioggia gli aveva incollato i capelli sulla testa e la barba sul volto. Un ghigno che poco si addiceva al volto di un uomo di chiesa gli illuminava lo sguardo.

     “Siamo al dunque, Principe!” disse piegando la testa da un lato.

     “Al dunque saremo solo quando un giorno ci troveremo al cospetto di Nostro Signore, Padre.”

     “Metti dunque in dubbio il potere della Chiesa su questa Terra? Avete sentito? Di quali altre prove avrà bisogno il Tribunale romano per condannare quest’uomo eretico?”

     “Cosa volete da me?”

     “Fingi ancora di non aver capito? Siamo qui per scortarti a Roma, dove dovrai affrontare il tribunale della Santa Inquisizione in relazione alle accuse di eresia che ti sono state mosse.”

     “Io non ho mai fatto, detto o pensato nulla di eretico. Sono un uomo devoto. Vi ho anche mostrato la mia Cappella…”

     “Sacrilego!” intervenne Padre Francesco Pepe. “E tu osi chiamare cappella quel luogo pieno di riferimenti cabalistici, di demoniache finzioni ottiche e di spregevoli ornamenti frutto delle tue pratiche alchemiche?”

     “Pratiche alchemiche?” chiese il Principe.

     “Sì” rispose ancora Padre Innocenzo Molinari “sanno tutti che siete dedito a questo tipo di studi. Cercate, come tutti gli altri, la pietra filosofale che possa farvi arricchire, ma non vi accorgete che la vera ricchezza è solo quella che riuscirete a conquistarvi nel Regno dei Cieli…”

     “Ma questa è pura pazzia! Non ci penso neppure alla pietra filosofale. Anzi, per me, non esiste. Non esiste nessuna tecnica scientifica che possa cambiare il piombo in oro…” si accalorò il Principe.

     “Poche chiacchiere! Il processo non è ancora iniziato. Prendete un pastrano e venite con noi in carrozza. Racconterete tutto ai giudici del Tribunale.”

     Senza rispondere nulla, il Principe risalì lo scalone e lo ridiscese subito dopo coperto da un pesante cappotto e da una mantella impermeabile, simile a quella che aveva regalato al re.

     “Andiamo!” disse ai suoi aguzzini

     Il portone fu aperto di nuovo da una delle guardie e Raimondo si ritrovò nella piazza sotto la pioggia scrosciante. Alzò gli occhi al cielo e vide ancora diversi lampi tra le spesse nubi che ricoprivano la città. Sollevò il bavero del suo cappotto e salì a bordo della carrozza.

Roma, oltre due secoli e mezzo dopo…

CAPITOLO I

     Sandra pedalava veloce sull’acciottolato delle vie cittadine. Lo zaino colorato sulle sue spalle si spostava alternativamente a destra e a sinistra al ritmo delle sue pedalate, riflettendo ora sì e ora no la luce del sole che splendeva sulla Capitale negli ultimi giorni di quello splendido mese di Maggio. Dal suo iPod, attraverso le cuffiette ad alta fedeltà, la musica dei Roxette le arrivava direttamente al cervello. Era di ottimo umore. La sua ricerca stava andando benissimo e il giro di amicizie che si era fatta nella sua nuova città era davvero divertente.

     Il semaforo in fondo alla strada era rosso, ma Sandra sapeva sgusciare tra le auto ferme come un pesce tra le alghe, e in un baleno si trovò proprio sotto la luce rossa. Poggiò un piede a terra, sul marciapiede, e si predispose mentalmente ad aspettare che scattasse il verde. Alla sua sinistra c’era un’utilitaria nera, ferma come lei ad attendere il verde. Alla guida un ragazzo, o un uomo, non sapeva bene come etichettarlo, tra i trenta e i quaranta, stava armeggiando con lo stereo. O, per meglio dire, gli stava inveendo contro. Dal finestrino passeggero aperto Sandra poteva seguire tutta la scena. Si sfilò uno dei due auricolari e, sempre col sorriso stampato sulle labbra, cercò di cogliere tutti i particolari di quella situazione, ai suoi occhi così divertente.

     “Che ti prende, adesso? Prima la radio, adesso neppure con i CD vuoi funzionare? Guarda che ti cambio, eh?”

     Sandra non era una ragazza intraprendente, ma forse per lo stato d’animo particolarmente brioso di quella mattina, forse perché anche lei di tanto in tanto parlava con le cose, soprattutto col sul PC capriccioso, le venne spontaneo intervenire. Piegò la testa attraverso il finestrino aperto e disse sorridendo:

     “Forse quel CD non gli piace!”

     Il guidatore fu colto di sorpresa e nel sollevare la testa picchiò contro lo sterzo, mugugnando di dolore.

     “Mi dispiace!” esclamò Sandra portandosi una mano alla bocca, ma senza riuscire a nascondere la risata che le era balzata sulle labbra.

     “Non è niente” rispose lui massaggiandosi la testa. “Ma sei fuori strada: quel CD è una compilation con il meglio dei Roxette, non può non piacergli.”

     “Davvero sono i Roxette? Non ci posso credere: li sto ascoltando anch’io!”

     Nel frattempo era scattato il verde e gli altri automobilisti in coda avevano cominciato a strombazzare con i loro clacson impazienti.

     “Un momento!” urlò il ragazzo voltandosi indietro. E poi, rivoltosi alla ragazza: “Che ne dici se mi accosto un attimo?”.

     “Veramente vado di fretta, ma non sono tanti quelli a cui piacciono i Roxette! Giusto un minuto, però”

     Il ragazzo sorrise, avanzò con l’auto di alcuni metri e non appena trovò un buco libero sulla destra accostò e scese dall’auto.

     Sandra si accorse così che era alto almeno dieci centimetri più di lei e ben piazzato.

     “Io mi chiamo Sergio, ciao!”

     “Io Sandra” disse lei stendendo la mano.

     “Se devo essere sincero, non sono un fan dei Roxette” aggiunse lui subito dopo avergliela stretta. “Ieri sera un amico mi ha masterizzato questo CD e ancora non sono riuscito ad ascoltarlo…”

     “Ah!” fece lei.

     “Sì, lo so che non è proprio legale, ma se mi piacciono poi mi compro il CD originale. E sono sicuro che se piacciono a te devono essere un bel gruppo” aggiunse poi sorridendo. “Spero solo che il mio stereo sia disposto a farmeli ascoltare.”

     Rimasero così a guardarsi negli occhi per qualche secondo. Poi entrambi scoppiarono a ridere, quasi nello stesso momento.

     “Senti – disse lei – io devo andare, davvero. Devo essere alla Biblioteca Vaticana entro un quarto d’ora o non mi lasceranno più entrare…”

     “E chi racconterà qualcosa sui Roxette a un povero ignorante?”

     “Prova a cercare su internet, ci sono un sacco di siti!”

     “E se invece mi dessi il tuo numero di telefonino?”

     Sandra restò interdetta per un momento. Quel ragazzo un po’ impacciato non le sembrava un tipo pericoloso, ma non era nel suo stile lasciare il suo numero di cellulare al primo arrivato.

     “Facciamo così, ti lascio la mia e-mail.”

     Sfilò un blocchetto dal suo zaino, scrisse il suo indirizzo elettronico su uno dei foglietti e glielo porse.

     “Penso che ti scriverò oggi stesso!”

     “Vedremo…” disse lei. “E cerca di aggiustare quello stereo: ne vale la pena!”

     “Per ora, sono contento che si sia rotto al momento giusto…”

     “Devo andare! Ciao!”

     E così dicendo risalì in bici e scappò via.

     A Sergio una cosa del genere non era mai capitata. La guardò andar via dondolando lo zaino, e non solo quello, e si chiese se davvero quello fosse il suo giorno fortunato. Sandra era indubbiamente carina. Non un tipo da modella, certo, ma con quel visetto furbo, i capelli di un rosso brillante e tutte le curve al posto giusto era di sicuro una conoscenza da approfondire. Soprattutto in quel periodo della vita di Sergio.

     Risalì a bordo della sua macchina e prima di partire infilò ancora la testa sotto il cruscotto per controllare lo stereo: un filo staccato! Un quarto d’ora prima l’avrebbe maledetto, quel filo. Ora invece lo ringraziò per aver preso l’iniziativa di scollegarsi proprio allora! Rimettere le cose a posto fu questione di un attimo. Perché nella vita reale non era altrettanto semplice?

     Rimise in moto e si avviò verso il suo ufficio. Sarebbe arrivato in ritardo. Ma poteva permetterselo. Era uno dei pochi diritti che aveva maturato nel laboratorio dove lavorava. Anche perché, se c’era da tirar tardi la sera, o da lavorare di sabato, lui non si faceva certo problemi. Dopotutto, in quel periodo, era contento di restare in ufficio il più a lungo possibile. Si sentiva a suo agio in quell’ambiente, aveva la situazione sotto controllo, aveva buone possibilità di saper affrontare qualunque emergenza dovesse venir fuori, e soprattutto sentiva che tante persone lì dentro contavano su di lui e si fidavano della sua esperienza senza metterla mai in dubbio.

     Sergio Principe lavorava per l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, e in particolare coordinava il piccolo gruppo di progettisti che si dedicava agli impianti di bordo dello SkyRider, il primo veicolo spaziale europeo che sarebbe partito di lì a pochi anni alla conquista dello spazio, probabilmente di Marte. Interessarsi di circuiti di aerazione e di illuminazione, o di impianti per lo smaltimento dei rifiuti organici nello spazio, mentre altri si dedicavano ai motori, ai radar, alla strumentazione di bordo, ai materiali supertecnologici che avrebbero costituito la navetta, e ad altri aspetti probabilmente più entusiasmanti di quell’avventura, non lo infastidiva. Come il suo capo era solito ricordargli, anche quelli di cui si interessava lui erano elementi fondamentali per la riuscita dell’impresa. Se i suoi impianti non avessero funzionato a dovere i primi astronauti di una missione europea sarebbero potuti morire asfissiati, congelati, o perfino di colera, quand’anche motori, radar e tutto il resto avesse funzionato alla perfezione.

     Ma non erano soltanto questi i motivi che lo spingevano ad amare il suo lavoro. Gli aspetti tecnici di quel lavoro non erano meno interessanti degli altri settori. Anche lì tutte le funzioni erano controllate da un computer, anche lì sofisticati sensori dovevano tenere costantemente sotto controllo la composizione dell’atmosfera e dei liquidi all’interno della navetta e se qualche parametro risultava fuori norma il sistema avrebbe dovuto intraprendere le giuste azioni correttive. Sergio si sentiva realizzato nel dominare tutto quel sistema, quel piccolo universo in miniatura, ed era riuscito a trasmettere anche ai suoi collaboratori la giusta dose di passione per quel lavoro. Inoltre, i ritmi alterni dell’attività lavorativa, ora intensa, ora più rilassata, gli lasciavano spesso i tempi per i suoi hobby, la musica e il modellismo.

     Quando raggiunse il parcheggio del suo stabilimento, aveva ancora il sorriso stampato sulle labbra. Quella giornata era iniziata proprio in un modo piacevole.

[1] “Sua Signoria, la cena è pronta. Stasera vi ho preparato il capretto con patate e pomodoro. Faccio mettere in tavola, Eccellenza?”

[2] “Chi siete? Cosa volete a quest’ora?”

[3] “E non potete tornare domani mattina? Il principe è andato a dormire!”

[4] “Principe, ma questi mi pare che abbiano brutte intenzioni”

 

Interessante, non trovate?

Buona lettura!